Michela Masat, affetta da endometriosi da circa vent’anni, racconta le difficoltà di chi soffre di questa patologia. Tra disinformazione e costo degli esami, la strada da fare è ancora lunga
Ho già spiegato come l’endometriosi ti porti ad entrare in un tunnel che non ha fine, fatto di problemi di dolori invalidanti, terapie ormonali ed antidolorifici, interventi anche mutilanti e con danni e conseguenze permanenti. Non ti riconosci più e ti senti sempre meno donna, in più si aggiunge anche la paura di una maternità mancata.
La rabbia è la reazione più immediata e normale: sia con te stessa perché ti chiedi cos’hai fatto di male per meritarti tutto questo, sia con le altre persone, con i familiari soprattutto, che diventano il capro espiatorio per potersi sfogare. È per questo che non si può considerare questa malattia solo come un semplice mal di pancia, e che il suo unico problema sia l’infertilità.
Ci sono donne che non presentano sintomi fino a quando si rendono contro che non riescono a rimanere incinte (nel 30-40% dei casi la malattia causa infertilità). Non tutti i ginecologi sono in grado di identificare l’endometriosi ed è per questo che è molto importante rivolgersi ad un centro specializzato dove si troverà un’equipe multidisciplinare. Gli esami necessari per la diagnosi sono l’ecografia transvaginale o ecografia 3D, risonanza magnetica.
Purtroppo non si guarisce e non esiste una cura: terapia ormonale, interventi, isterectomia, menopausa, gravidanza e dieta non lo sono. L’endometriosi ha dei costi eccessivi e non tutte le donne possono permettersi di curarsi e comunque le famiglie sono costrette a far sacrifici enormi.
Purtroppo, cercare di spiegare cosa comporta tale patologia non è facile. Si fa molta fatica, ad esempio a parlare con chi non sta vivendo una situazione del genere perché difficilmente potrà comprendere una malattia di cui non vede gli effetti. Solo chi vive con una malattia cronica può capire veramente cosa significhi averla e cosa comporta. Ogni giorno è una lotta continua per far comprendere gli effetti che essa ti causa, che è possibile vivere di dolore cronico, che non sei pazza e che non ti inventi nulla, né tantomeno stai facendo la vittima. I segni che ti lascia questa tremenda patologia, purtroppo, li conosci solo tu.
La disinformazione o la mancata informazione è la cosa peggiore, quando sarebbero fondamentali per abbattere il muro del silenzio e far conoscere a tutti l’endometriosi con le sue gravi ripercussioni sulla qualità di vita. Informazione, prevenzione e diagnosi precoce: restano queste le principali armi per combatterla.
Tutt’ora l’endometriosi non è riconosciuta come malattia invalidante. Ai fini dell’invalidità bisogna aver subito interventi mutilanti, con danni e conseguenze permanenti.
Il 12 gennaio 2017 l’endometriosi nei suoi stadi più gravi, ovvero 3° e 4°, è stata inserita nei LEA (Livelli Essenziali d’Assistenza) garantendo così l’esenzione su alcuni esami: visita di controllo, ecografia transvaginale, ecografia transrettale, ecografia all’addome e clisma opaco. Tutti ogni 6 mesi. Si tratta di una grande vittoria dopo tanti anni di lotte da parte di tutte le donne affette e delle associazioni, ma non ci fermiamo qui.
Gli obiettivi sono tanti, c’è ancora molto da fare come far aggiungere anche il 1° e 2° stadio nell’esenzione perché è giusto che tutte le donne affette possano usufruirne monitorando così la propria situazione ed evitarne l’aggravarsi. Inoltre, lottiamo anche perché vengano inseriti più esami necessari e i farmaci, e per il riconoscimento della malattia come invalidante dato che è tutto fermo alle mozioni approvate nel maggio 2016.
Di Michela Masat