La strategia italiana sul Covid sfociata nell’adozione del “Green Pass” è eticamente preoccupante e pragmaticamente fallimentare.
Questo perché implica:
1) una campagna moralistica che mina la convivenza civile;
2) una violazione della deontologia medica consolidata;
3) una strategia che allontana indefinitamente il ‘ritorno alla normalità’.
Provo concisamente a spiegare
1) Il Green Pass è un’operazione di persuasione obliqua: si presenta come una misura per ridurre i contagi, ma è di fatto una manovra per spingere la gente a vaccinarsi. Chi prendesse sul serio lo scopo preventivo faticherebbe a capire perché senza Pass sia possibile ad un anziano recarsi in Chiesa o al Senato, ma non ad un adolescente recarsi ad uno spettacolo all’aperto. Il cuore del provvedimento sta però nello ‘sforzo persuasivo’, che ha preso sciaguratamente le forme di un’aggressione moralistica.
Nel momento in cui una decisione libera e legale viene investita da uno stigma morale promosso dall’alto è chiaro che, giù per li rami, questo stigma finirà per amplificarsi in forme parossistiche. Se le più alte cariche dello stato dicono che non vaccinarsi implica morire o far morire, o che vaccinarsi è un doveroso atto di responsabilità verso il prossimo, difficile che chi sia privo di remore istituzionali non traduca ciò in accuse ai non vaccinati di essere assassini irresponsabili o simili.
Così, la categoria “No Vax”, da designazione di un’esigua minoranza di soggetti ostili ai vaccini in sé è diventata una categoria morale, in cui accatastare come ‘impuri’ tutti i non vaccinati, ma anche i vaccinati dubbiosi. Pieno spirito di guerra con ricerca delle quinte colonne. Capita così di sentire sindaci che suggeriscono ai non vaccinati di girare con un cartello al collo, virologi che ne parlano come di sorci da cacciare, segretari di partito che propongono di escluderli dall’elettorato passivo, sindacalisti che vogliono farlo per l’elettorato attivo, infermiere che minacciano di staccargli la spina, fino a sobri e diffusi auguri di avere un morto in casa.
Il problema del Green Pass non è dunque che leda in astratto la “libertà”, ma che la sua implementazione quotidiana ricordi così tanto gli orwelliani “due minuti d’odio”.
2) La formulazione italiana del Green Pass spinge a vaccinarsi, pena la morte sociale, tutti i cittadini dai 12 anni in su.
Ora, principio deontologico fondamentale è che un farmaco vada somministrato solo in caso di evidenza univoca che i benefici superino i rischi. Ad oggi, quest’evidenza nel caso di soggetti giovani e giovanissimi (in assenza di patologie pregresse) manca.
Per questi gruppi i dati ci parlano di una malattia con letalità sostanzialmente nulla e scarsissima incidenza di complicanze.
Di contro, i vaccini attuali non danno garanzie circa gli effetti a medio o lungo termine. Da quando sono in uso su larga scala (7 mesi o meno), i loro bugiardini si sono impreziositi dei rischi di: trombosi atipiche (Vaxzevria), sindrome di Guillian-Barré (Janssen), miocarditi e pericarditi (Pfizer).
Chi e su che base può escludere che quella lista non crescerà ancora?
Chi è nella posizione di smentire quanto scritto nei contratti di fornitura (“gli effetti a lungo termine e l’efficacia del vaccino non sono attualmente noti e potrebbero esserci effetti negativi del vaccino che non sono attualmente noti”)?
Sotto queste condizioni la somministrazione di questi vaccini a giovani e giovanissimi è una pratica semplicemente inappropriata, perché non c’è evidenza che i benefici superino i rischi.
3) La strategia adottata mira a una vaccinazione rivolta idealmente al 100% della popolazione, con l’intento di “bloccare il virus ed evitare le varianti”.
Questa meta è del tutto irrealistica.
Sappiamo infatti:
a) che il vaccino protegge il vaccinato, ma non arresta la capacità di contagiare;
b) che ad oggi solo il 14,4% della popolazione mondiale è pienamente vaccinata;
c) che già tra un mese dovranno ripartire i richiami dei primi vaccinati, perché l’immunità Covid (diversamente da casi storici come il vaiolo) dura solo 6-9 mesi.
Sotto queste premesse è fatale che il virus continuerà a circolare, dentro e fuori il paese, e a produrre varianti, rimanendo endemico come l’influenza. Una strategia di vaccinazione a tappeto (anche a chi ha gli anticorpi; anche ai giovani) insegue perciò un bersaglio irraggiungibile e ci spinge ad un’emergenza senza fine.
Prof. associato di Antropologia filosofica e Filosofia morale presso l’Università degli Studi di Milano.