Mondiali Qatar 2022 – A meno di un anno dall’inizio dei Mondiali di calcio del Qatar 2022, continuano le denunce per le violazioni dei diritti umani dei lavoratori migranti impegnati nella realizzazione delle strutture che ospiteranno il torneo.
Manca poco meno di un anno ormai all’inizio dei Mondiali di calcio 2022, che si giocheranno in Qatar a partire dal 21 novembre prossimo. Per la prima volta, la competizione si terrà tra novembre e dicembre – il periodo autunnale nell’emisfero boreale – a fronte di temperature estive molto calde e umide che renderebbero altrimenti impossibile il gioco.
Dopo gli Europei e la Coppa America, slittati al 2021 a causa del Covid-19 (e conclusisi con la vittoria, rispettivamente, di Italia e Argentina), il 2022 sarà dunque l’anno della competizione internazionale più attesa, che ancora una volta vedrà l’una contro l’altra le più grandi nazionali di calcio del mondo.
Mentre si sorteggiano i playoff di marzo (l’Italia sfiderà la Macedonia del Nord in casa e, se vincerà, incontrerà Portogallo o Turchia in trasferta), non poche ombre continuano però ad aleggiare sul torneo organizzato dalla FIFA.
L’attesa dei prossimi mondiali di calcio, infatti, non è mai stata priva di polemiche. Quando nel 2010 la FIFA ha assegnato al Qatar la competizione internazionale, in molti hanno espresso preoccupazione per le condizioni di vita dei lavoratori migranti che sarebbero stati impegnati nella realizzazione dei progetti connessi allo svolgimento della Coppa del Mondo.
In Qatar, i migranti rappresentano una fetta consistente della popolazione (circa il 70 per cento) e costituiscono il 95 per cento della forza lavoro. Si tratta di uomini e donne provenienti principalmente da India, Nepal, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka, costretti a lavorare a temperature che possono sforare i 50 gradi e a condizioni disumane, con paghe molto basse o addirittura inesistenti.
Alla base del trattamento patito dai lavoratori migranti in Qatar risiede il sistema della kafala, spesso definito come una forma moderna di schiavitù. In estrema sintesi, si tratta di un contratto di lavoro che prevede – come scrive Wired – «che il datore di lavoro abbia forti tutele legali per poter controllare i lavoratori migranti che fa entrare nel proprio Paese», tra cui «forti restrizioni sulla possibilità di cambiare impiego, senza aver ottenuto il permesso del datore di lavoro, sulla facoltà di dimettersi e perfino sulla possibilità di lasciare il Paese senza permesso».
Le denunce delle organizzazioni internazionali
Nel corso di questi 10 anni, diverse organizzazioni internazionali hanno denunciato le gravi violazioni dei diritti umani nei cantieri preposti alla realizzazione delle strutture (stadi, strade, hotel, un aeroporto, un’intera città) che ospiteranno la finale della Coppa del mondo nel 2022.
Già in un rapporto del 2013, Amnesty International aveva documentato lo sfruttamento dei lavoratori migranti in vista dei mondiali del Qatar, denunciando casi di abusi e minacce da parte dei datori di lavoro: condizioni di lavoro estreme (a temperature altissime, per circa 12 ore al giorno, senza possibilità di accedere alle fonti d’acqua); mancato pagamento degli stipendi; sequestro di documenti e passaporti (finalizzato a impedire l’uscita dal Paese), assenza di garanzie di sicurezza sul luogo di lavoro.
Nel 2016, sempre Amnesty International aveva ribadito “il lato brutto del bel gioco”, contestando alle autorità qatariote e alla FIFA lo sfruttamento e le condizioni di vita dei lavoratori migranti impegnati nella ristrutturazione dello stadio di Doha e del complesso circostante (la denuncia si fondava su una serie di colloqui e interviste a migranti provenienti principalmente da Nepal e India).
Secondo le statistiche – elaborate, nel 2021, alla luce dei dati forniti dalle ambasciate dei principali Paesi d’origine dei migranti (India, Nepal, Bangladesh, Pakistan) – dall’assegnazione della Coppa del mondo (2010) oltre 6.500 lavoratori stranieri sono morti, ed è probabile che molti di questi siano deceduti a causa delle condizioni di vita e di lavoro (e, in particolare, a causa dell’intenso caldo estivo), cui sono stati sottoposti per la realizzazione dei progetti infrastrutturali in vista dei Mondiali di calcio. Secondo il Guardian, poi, la cifra stimata potrebbe essere addirittura una sottostima; di questa cifra scioccante è adesso, in una qualche maniera, chiamata a rispondere la FIFA.
La posizione della FIFA e del Qatar
L’accusa di stare investendo e costruendo a discapito dei diritti degli individui, in questi anni, è pesata come un macigno sulla FIFA. Secondo Amnesty International, la Federazione Internazionale delle associazioni calcistiche avrebbe dovuto sapere che lo svolgimento del torneo in Qatar sarebbe dipeso in massima parte dalla fatica di «lavoratori migranti impegnati in tutti i settori relativi alla preparazione dell’evento sportivo, direttamente legati agli impianti ufficiali o meno», e che questi ultimi «avrebbero patito sofferenze per renderlo possibile».
In questo senso, le organizzazioni internazionali hanno spesso sollecitato la FIFA a esercitare «la sua influenza presso le autorità del Qatar per porre fine alle violazioni dei diritti dei lavoratori migranti impegnati nella costruzione delle infrastrutture e degli impianti sportivi».
Dal canto suo, la Federazione ha più volte riconosciuto la propria responsabilità nel garantire il rispetto dei diritti umani nel corso della preparazione ed esecuzione dei Mondiali del 2022, sottolineando come negli anni si sia impegnata a instaurare un dialogo con le autorità del Paese ospitante e a promuovere l’attuazione di riforme volte al miglioramento delle condizioni dei lavoratori impiegati nei cantieri.
In alcuni casi, poi, la Federazione non si è detta d’accordo con le accuse delle organizzazioni internazionali rispetto alla mancanza di un’azione chiara e concreta per la prevenzione delle violazioni dei diritti dei lavoratori migranti nei cantieri legati alla Coppa del mondo, ribadendo anzi come la FIFA abbia «integrato tutele dei diritti umani in diversi aspetti del suo lavoro, nei processi e nelle attività da molti anni».
Anche con riguardo al Qatar, è innegabile che alcuni progressi (almeno sulla carta) in questi anni siano stati compiuti. A seguito delle pressioni a livello internazionale e delle inchieste portate avanti dalle Ong, il Qatar ha adottato infatti alcune riforme per migliorare le condizioni di alloggio e di lavoro per gli operai. Nel settembre 2020 è stato anche abolito il sistema della kafala, che legava il lavoratore dipendente al datore e introdotto un salario minimo pari a circa 275 dollari (ancora molto basso, secondo gli operatori dei diritti umani).
L’indignazione di calciatori e tifosi
Per quanto l’azione della Fifa – nell’assunzione delle proprie responsabilità – e le riforme introdotte dal Qatar – per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori migranti – possano considerarsi importanti passi in avanti, secondo le organizzazioni internazionali non sono sufficienti e, in alcune occasioni, si sono già dimostrati inefficaci a prevenire violazioni dei diritti umani. Per non parlare del fatto che sono giunti troppo tardi per evitare tutte le morti registrate nel corso di questo decennio.
Le discrasie e le contraddizioni, del resto, sono sotto gli occhi di tutti. Quelli che per calciatori e tifosi saranno luoghi da sogno, per i lavoratori migranti sono stati luoghi di sofferenza e di morte. Per questo, specie nell’ultimo anno, molti calciatori hanno protestato ed espresso solidarietà per lo sfruttamento degli operai impegnati nei cantieri del Qatar.
Lo scorso marzo, in concomitanza con le qualificazioni ai prossimi mondiali, la nazionale di calcio norvegese, per prima, ha pubblicamente preso posizione a tutela dei diritti dei lavoratori migranti. Dopo qualche giorno, le nazionali di Germania, Olanda e Danimarca si sono unite alle proteste.
Assieme ai lori idoli, anche molti tifosi hanno fatto propria la campagna contro lo sfruttamento degli operai in Qatar. «La sensibilità nelle tifoserie per la situazione dei diritti umani in Qatar sta crescendo al punto tale che in alcuni Paesi si chiede il boicottaggio», ha scritto Amnesty. Anche le azioni di calciatori e tifosi, però, come quelle della FIFA e del Paese ospitante, risulterebbero deboli e tardive.
La strada del boicottaggio pare davvero poco praticabile (data l’importanza dell’evento). E anche per questo, forse, le polemiche (e le denunce) non sembrano destinate a placarsi.
Insomma, mentre le organizzazioni internazionali continuano a premere sulla FIFA perché si prodighi in maniera ancora più incisiva affinché il Qatar rispetti il suo programma di riforme nel campo del lavoro prima dell’inizio del torneo, le premesse per cui il Mondiale del 2022 sia ricordato come il “Mondiale degli schiavi”, piuttosto che come quello di novembre o dei tempi della pandemia, ci sono tutte.