Giacomo Leopardi: alla Biblioteca Nazionale di Napoli è conservato manoscritto inedito di quando il poeta era appena 16enne (1814). Si tratta di un piccolo quaderno con quattro fogli divisi in due, su cui ci sono scritti in ordine alfabetico circa 160 autori antichi, accompagnati da strani numeri.
Il prezioso testo, rinvenuto nel Fondo Leopardiano, è conservato dagli studiosi di quest’ultimo Marcello Andria e Paola Zito, che l’hanno fatto pubblicare da Le Monnier Università. E’ stato intitolato “Leopardi e Giuliano imperatore. Un appunto inedito dalle carte napoletane ” ed è stato presentato alla Biblioteca Nazionale partenopea oggi, martedì 3 maggio, a partire dalle 16. Sono intervenuti la direttrice Maria Iannotti, Giulio Sodano, direttore e docente di Storia Moderna presso il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” a Caserta e Francesco Piro e Rosa Giulio, entrambi dell’Università degli Studi di Salerno.
Una nota spiega: “L’inedito conferma l’importanza della raccolta leopardiana napoletana che si presenta sempre più completa, mettendo a disposizione degli studiosi un panorama integrale dell’opera di Giacomo Leopardi. Siamo di fronte ad uno scritto di Leopardi appena sedicenne, assiduo frequentatore della biblioteca paterna, che realizza un accurato e capillare spoglio dell’Opera omnia di Giuliano imperatore, ricorrendo all’autorevole edizione di Ezechiel Spanheim, apparsa a Lipsia nel 1696″. “Leopardi, che soltanto l’anno prima ha cominciato a studiare il greco da autodidatta, perlustra assiduamente i migliori esemplari della biblioteca paterna. L’autografo ci mostra come benché giovanissimo, Leopardi è già uno studioso provveduto e curioso ed abbia già un accurato metodo di lavoro, che rappresenterà la caratteristica costante del percorso leopardiano – continua il comunicato – Gli anni in cui il giovane Leopardi si accosta alla lettura di Giuliano rappresentano una tappa significativa nel percorso di rivalutazione della figura dell’Apostata, per lungo tempo offuscata dalla condanna pressoché unanime degli storici della fino alla metà del XVI secolo e riscoperta nel Settecento ad opera soprattutto degli illuministi (Montesquieu, Diderot, Voltaire) ma accolta in Italia, fra attestazioni di stima e dichiarata ostilità”.