Goma: le cause di un conflitto annunciato
Intervista a Francesco Barone
A Goma si è avverato quanto da lei previsto. Cosa pensa in merito?
Con gli occhi a forma di potere ed esperti dell’invisibile, i potenti del pianeta non hanno voluto guardare in faccia la realtà, o forse l’hanno vista facendo finta di niente. A causa degli “appetiti disumani” a Goma e nel Nord Kivu stanno morendo migliaia e migliaia di persone. Come frequentemente accaduto, stando con e tra i rifugiati nei campi profughi non era difficile prevedere questo epilogo, quindi, ho rivolto numerosi appelli affinché si intervenisse per porre fine ad anni di violenze e saccheggi.
Si è trattato di un’escalation di violenze che lei ha vissuto da vicino
Durante le ultime otto missioni umanitarie si sono susseguiti episodi di una gravità senza precedenti. Attacchi ai villaggi a pochi km da Goma, donne violentate, bambini rapiti.
Pian piano, la situazione è divenuta sempre più drammatica fino a pochi giorni fa, quando il gruppo M23 è entrato a Goma assediando la città. Prima erano state conquistate Masisi, Sake, Minova, Kibumba, località poco distanti dal capoluogo del Nord Kivu. La situazione era talmente tesa che facevamo fatica a consegnare gli alimenti e le medicine nei campi profughi.
Quali sono a suo avviso le ragioni di questo conflitto?
La maledizione del “gigante” dell’Africa è la sua ricchezza mineraria. Nel paese africano, infatti, ci sono i minerali essenziali come il coltan e il cobalto (80% della produzione mondiale), che sono elementi fondamentali per i nostri telefonini, per le batterie elettriche delle nostre auto, per l’high-tech e per la produzione di tecnologie aerospaziali. Da quanto riferitomi dalle persone del posto, tutti questi minerali che generano lo sfruttamento dei bambini, non passano per Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, ma vengono trasferiti illegalmente in Uganda e in Ruanda, per entrare poi nel circuito internazionale. A guadagnarci è soprattutto l’Occidente e le multinazionali, ma a perderci è il Congo, classificato come il terzo paese più povero del mondo. Questo conflitto sta determinando un nuovo scenario, caratterizzato da profonde incertezze sul presente e sul futuro.
Si va verso un mondo più povero?
Un mondo costruito sull’individualismo e sull’egoismo genera inevitabilmente una conseguenza: una grande soddisfazione per pochi e una grande infelicità per molti. La globalizzazione è anche la brutalizzazione delle condizioni delle donne e degli uomini considerati come merce. E’ peculiarità del nostro tempo la vertiginosa incertezza, segnata dal fascino di idoli effimeri e instabili e dal rifiuto dei valori universali. Oggi lo schema dominante è quello della cosiddetta economia di mercato. L’obiettivo rimane quello di massimizzare i profitti e il soddisfacimento esclusivo dei propri bisogni. E’ ciò che sta accadendo in Congo. Si può ancora restare sorpresi se circa tre miliardi di persone vivono con meno di 2 dollari al giorno e se quaranta persone dispongono della ricchezza equivalente a quella di cinque miliardi di persone? E’ un continuo estraniarci dai problemi che riguardano i poveri e chi sta soffrendo a causa delle guerre. Di questo passo si rischia di costruire un modello di società caratterizzato da interessi economici a “chilometro zero”.
Quali saranno i vostri interventi umanitari futuri?
Continueremo con i nostri interventi a sostegno di una popolazione stremata a causa di questo conflitto. Le azioni riguarderanno soprattutto la consegna di alimenti e medicinali. Rafforzeremo i progetti finalizzati alla scolarizzazione di numerose bambine e bambini. Torneremo a Goma non appena saranno ripristinate le condizioni minime di sicurezza.
Adriana Cantiani