Negli ultimi tempi è stato sollevato particolarmente di frequente da alcuni quotidiani e giornalisti (per esempio Monica Ricci Sargentini del “Corriere della Sera”) il dramma di madri che vengono accusate di “alienazione parentale o genitoriale” (Parental Alienation Syndrome, PAS). Non è una malattia, ma una controversa dinamica psicologica ideata nel 1985 dallo psichiatra americano Richard Gardner (1931 – 2003) per cui un genitore (definito “alienante”) aizzerebbe il figlio (“alienato”) contro l’altro dopo una fine burrascosa della relazione e nell’ambito della lotta per l’affidamento. Perciò l’altro genitore (il padre in questo caso) verrebbe escluso dalla vita della sua “creatura”, a cui non potrebbe nemmeno regalare il proprio affetto.
Spesso, troppo spesso, l’ “alienazione parentale” viene invocata in Italia (ma certamente anche altrove) per strappare i figli a madri che hanno denunciato mariti/padri violenti, ragion per cui i bambini rifiutano di stare con loro. Se il bambino assume questo atteggiamento, viene data la colpa alla madre e non al padre violento.
Recentemente l’associazione Dire – Donne, presieduta da Antonella Veltri, ha denunciato il caso di una donna, Laura Ruzza, 40 anni, che la sera di lunedì 26 luglio si era barricata in camera da letto con il figlioletto di 7 anni epilettico, dopo che a casa loro, vicino a Viterbo, sono arrivati dieci (dieci!) carabinieri (si parla anche di un’ambulanza e dei vigili del fuoco e di fiamma ossidrica all’ “occorrenza”) per portarglielo via in ottemperanza ad un provvedimento del Tribunale dei Minori di Roma risalente ad otto mesi fa, che sospendeva la potestà genitoriale sia alla madre che al padre e affidava il bambino ad una casa famiglia ad un’ora di macchina di distanza. Hanno sfondato la porta e Laura ha riferito che l’hanno immobilizzata sul letto “perché fino all’ultimo non lasciavo andare mio figlio. Ho ancora i segni della colluttazione sulle braccia”.
Poi ha potuto parlare col bambino, che era (ovviamente!) molto scosso e in faccia aveva alcuni lividi simili a quelli di una caduta. La madre ha ipotizzato che avesse avuto una crisi epilettica, perché un’infermiera le ha chiesto quali medicine dovesse prendere. Poi è stato stabilito che il piccolo avrebbe potuto stare con Laura solo un’ora alla settimana.
E’ stato giudicato “troppo forte il suo legame con la genitrice”, dopo che lei ha denunciato il marito per ben sei volte per violenza domestica (le famose denunce che finiscono in niente, cosa di cui ci si rammarica solo quando c’è un femminicidio). I due futuri coniugi si conoscono nel 2013 e in poco tempo lui diventa aggressivo. Finché, nel luglio dell’anno successivo, dopo essere stata picchiata dal marito per strada, quando il figlio aveva appena cinque mesi, la donna ha trovato il coraggio di andarsene di casa. A quell’epoca i tre vivevano in Veneto.
Il Tribunale di Treviso consente che il bambino rimanga con la madre, ma se ne occupano anche i servizi sociali. La consulenza di una psicologa, Tiziana Magro, sostenitrice della PAS, ha ritenuto che questo fosse il caso di Laura e di suo figlio.
Da lì inizia il calvario dei due, che poi si trasferiranno a Roma dai nonni (il piccolo sarà seguito dal Bambin Gesù per l’epilessia). Nella vicenda si inserisce anche la sindaca Virginia Raggi, nominata dal Tribunale dei Minori della Capitale tutrice provvisoria del bambino. Vuole cercare di fargli instaurare un legame col padre e si rivolge a sua volta ad un’assistente sociale di nome Franca Cammisa, che accuserà la madre di quanto detto sopra senza aver mai nemmeno visto il bambino.
A questo punto la madre, per evitare che lui finisca in una casa famiglia, lo porta a vivere a Viterbo. Ma la “fuga” è miseramente finita. Dalla sua parte Laura ha una sentenza della Corte di Cassazione, che ha paragonato la PAS ad una “dottrina nazista”.
La consigliera di Dire – Donne Nadia Somma, che è titolare di un blog su “Il Fatto Quotidiano”, ha espresso la sua preoccupazione per una società che consente cose del genere e ha garantito una battaglia. Ci sono già comitati che stanno manifestano di fronte agli organi giudiziari in tutto il Paese (tra l’altro “Dire” rileva come i magistrati siano poco preparati sui femminicidi, non considerino la violenza nelle cause civili e continuino a “confondere la violenza con il confitto”).
La Commissione sul Femminicidio con a capo la senatrice del Pd Valeria Valente sta facendo un grandissimo lavoro su questi casi di “vittimizzazione istituzionale”. Deprecando ciò che è successo a Laura Ruzza e a suo figlio, ha spiegato la politica “Stiamo studiando come intervenire per evitare che avvengano altri terribili episodi come questo, che si configurano come violenti e traumatici per i bambini”.
Una storia analoga a quella che abbiamo appena raccontato, è quella di Laura Massaro e del suo bambino, di 11 anni. La prima storia di cui si è sentito parlare in questo periodo. A giugno il Tribunale dei Minori di Roma ha emesso un decreto di allontanamento del piccolo dalla madre (che vive con i genitori) per PAS e per due volte, il 5 e il 22 luglio (alle 7: 30 e alle 9:30) c’è stato il rischio che le fosse tolto forzatamente. In quel caso i servizi sociali hanno segnalato che coinquilini di Laura si sarebbero rifiutati di aprire il portone a sei poliziotti, tutrice e pediatra. Possiamo solo immaginare in che situazione vive da allora quella famiglia ed in particolare il bambino.
Laura continua a combattere, anche in questo caso col sostegno di “Dire”. Il sito dell’associazione informa è di oggi, lunedì 2 agosto, la notizia che l’avvocato, Lorenzo Stipa, ha inviato ai Servizi Sociali dell’X Municipio di Roma, una lettera che dice: “Risulta del tutto inverosimile, inspiegabile e incomprensibile a fronte delle evidenze documentali e delle Vostre stesse valutazioni che vogliate far passare come interesse del minore un collocamento del bambino in casa famiglia con strappo totale dai suoi punti affettivi di riferimento, il tutto contro la sua espressa volontà”. Perciò chiede al Tribunale dei Minorenni capitolino “un’immediata revoca del decreto di allontanamento”.
Gli stessi servizi sociali considerano Laura una “madre idonea” a prendersi cura di suo figlio. Non solo: i servizi sociali avevano chiesto al Tribunale di evitare gli incontri del bambino col padre, perché in seguito il piccolo risultava molto stressato. Inoltre bisognava tenere conto che soffriva di una malattia autoimmune che gli ha causato ipertensione (assume dei farmaci). Madre e figlio hanno scritto alla Ministra della Giustizia Cartabia d’intervenire, inviando degli ispettori al Tribunale dei Minorenni di Roma. “Sono vittima insieme a mio figlio di una persecuzione giudiziaria e di abusi di potere senza precedenti e di feroce malagiustizia”, dichiara Laura Massaro ( Laura Massaro: “Noi peggio dei carcerati, Cartabia invii ispettori al tribunale dei Minorenni di Roma” ). La donna ha intrapreso lo sciopero della fame.
Un altro caso di qualche anno fa, in cui si parlava molto meno di “alienazione parentale”, è finito in modo tragico per il bambino. Ci riferiamo a Federico Barakat, di madre italiana, Antonella Penati, che lavora in una casa farmaceutica, e padre egiziano, Mohamed Barakat, archeologo. Quest’ultimo, a cui viene diagnosticata la sindrome bipolare di personalità, il 25 febbraio 2009 ha ucciso il figlio di 8 anni (che non voleva vederlo) con un colpo di pistola e 37 coltellate durante un incontro protetto deciso da giudice e servizi sociali alla ASL di San Donato Milanese. Federico è morto dopo 57 minuti di agonia.
Due anni dopo la nascita del bambino il comportamento del padre inizia a diventare violento e ossessivo e alla fine la moglie lo allontana. Poi lo denuncia per minacce, chiede protezione per sé è per il figlio, e l’ex viene condannato per aggressione (ammette la propria colpevolezza).
Federico dice alla mamma che non vuole vedere papà nemmeno in presenza dei servizi sociali. Lei glielo promette, ma sa che non può fare nulla, anche se l’ex aveva già minacciato di ammazzare il figlio. Le avevano dato della “madre ipertutelante” (alienante) e il risultato è stato Federico ucciso e la madre rimasta col cuore spezzato. Il padre si è suicidato dopo il delitto.
Nel maggio scorso la Corte europea dei Diritti dell’Uomo si è dimostrata concorde con il giudice italiano che ha assolto i responsabili della struttura per l’assassinio del bambino, considerando i suoi incontri protetti col padre un “sostegno al suo sviluppo educativo e psicologico”. Ma lui non c’è più. C’è “solo” madre che non ha intenzione di arrendersi con la sua associazione “Federiconelcuore” che si occupa di casi simili al suo.
Di Alessandra Boga