Addio a Mernissi, voce delle donne dell’islam

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fatima mernissi
foto: wikipedia

Possedeva un carisma unico, Fatema Mernissi. Un fascino tutto suo, che univa un’eleganza indipendente da qualunque canone estetico codificato a un’energia che le conferiva il potere di catalizzare su di sé l’attenzione generale non appena entrava in una stanza, che fosse per una conferenza o una cena tra amici. Certo, tanta parte di questa capacità amma-liatrice dipendeva dal talento affabulatorio della scrittrice e sociologa marocchina, nata 75 anni fa in un harem di Fès e spentasi ieri mattina a Rabat. Dal modo arguto, spiritoso e insieme puntuale con cui sapeva raccontare storie e rievocare aneddoti, per poi unirli con il filo rosso di una nuova teoria, una lettura inedita – e spesso rivoluzionaria – che illuminava da angolature sempre originali i fenomeni del nostro tempo: la globalizzazione e il fallimento dei confini, l’ascesa delle società civili arabe e, soprattutto, il contributo fondamentale delle donne allo sviluppo del mondo musulmano (e non solo). È proprio per questo femminismo ironico e saggio che ci mancherà, più di tutto, la voce di Fatema. Per anni docente di sociologia all’Università Mohammed V di Rabat (dopo avere studiato alla Sorbona e negli Usa), rappresentava una delle esponenti più brillanti di quella generazione di scrittrici e intellettuali impegnate a rinnovare dall’interno, ma da una prospettiva laica, la cultura araboislamica. Come l’algerina Assia Djebar, scomparsa a sua volta lo scorso febbraio, o l’egiziana Nawal al-Sa’dawi.La denuncia del retaggio patriarcale nella società marocchina, raccontato attraverso i suoi ricordi di bambina vivace e ben poco remissiva nel libro La terrazza proibita (Giunti, 1996), è uno dei primi temi che fecero conoscere Fatema Mernissi al grande pubblico, e che non ha mai abbandonato nel suo lavoro accademico e letterario. Il ruolo – indebitamente usurpato – delle donne nel mondo musulmano è sviluppato in tante opere, da Chahrazad non è marocchina (Sonda, 1993) a Le sultane dimenticate (Marietti, 1992): una ricerca particolarmente interessante che passa in rassegna la storia non ufficiale per raccontare numerose figure di ‘donne capi di Stato nell’islam’, dalla stessa figlia di Maometto Fatima all’egiziana Sagarat al-Durr, che prese il potere al Cairo nel 1250. Il fronte dell’impegno di Mernissi si era poi allargato a un compito cruciale: la demistificazione dell’immaginario occidentale sull’islam e sul mondo arabo. Un tema che dimostra oggi, una volta di più, la lungimiranza dell’autrice di L’harem e l’Occidente (Giunti, 2000), che ironizzava sui pregiudizi nei confronti della presunta ‘passività femminile’ nelle culture islamiche e additava i condizionamenti subiti dalle donne anche nel nostro mondo che ama credersi del tutto emancipato. «Fu in un grande magazzino americano che mi sentii dire che i miei fianchi erano troppo larghi per la taglia 42. Ebbi allora la penosa occasione di sperimentare come l’immagine di bellezza dell’Occidente possa ferire fisicamente una donna e umiliarla tanto quanto il velo imposto da una polizia statale in regimi estremisti quali l’Iran, l’Afghanistan o l’Arabia Saudita». La liberazione delle donne, a tuttotondo, era insomma ciò che le interessava. Una lotta che la spinse a inventare le ‘Carovane civiche’ per dare la parola alle protagoniste nascoste della società e provocare un cambiamento culturale (esperienza raccontata in Karawan. Dal deserto al web, Giunti 2004) e poi a portare la rivoluzione della lettura nei più remoti villaggi dell’Atlante, con le ‘Carovane del libro’ organizzate insieme alla libraia di Marrakech Jamila Hassoune. Senza dimenticare la valorizzazione dei saperi tradizionali, come dimostra ad esempio il suo lavoro sulle tessitrici di tappeti dei monti marocchini. Il rinnovamento culturale, secondo Fatema Mernissi, va di pari passo con le innovazioni giuridiche: «La riforma della Moudawana, il Codice di statuto personale, sta portando molti cambiamenti», mi aveva detto commentando gli effetti della legge approvata un decennio fa. «Certo, la tradizione è lenta a morire, ma una norma ha anche effetti immediati. Per esempio, alcuni nuovi diritti garantiti alle ragazze hanno provocato una drastica riduzione delle nozze in giovanissima età».Negli ultimi anni, la scrittrice era andata oltre l’analisi del rinnovamento in seno al mondo islamico (affrontato in modo specifico in Islam e democrazia, Giunti 2002) per maturare una visione globale che comprendesse le sfide chiave del nostro tempo. «È sempre più evidente – mi diceva in un’altra occasione – che le frontiere non esistono più e che ciò che esiste, nel mondo, sono solo fragili civili: la vera questione, oggi, non è dunque come difendere le frontiere, ma come tutelare le persone».

avvenire.it

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