Storie di carta

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Luigia Aristodemo

Storie di carta, di Luigia Aristodemo

La quasi totalità del patrimonio librario, documentario e in parte artistico è su carta alla quale è affidata la trasmissione della conoscenza della storia e della cultura di un popolo.

A pensarci bene, senza di essa oggi non potremmo ammirare l’autoritratto di Leonardo o leggere le lettere scritte da Aldo Moro durante l’ultima fase della sua prigionia. Non avremmo traccia dell’importante decreto luogotenenziale n. 23 del 1 febbraio 1945, a firma Umberto di Savoia, che estende alle donne il diritto di voto, per non parlare della vibrazione che pervade un musicista nello sfogliare uno spartito originale pieno di note.

La dottoressa Maria Teresa Tanasi, chimico e diagnosta, svolge attività di ricerca e studio nel campo della conservazione e restauro del patrimonio librario, documentario e artistico su carta.

“Da tantissimi anni, mi occupo dello studio dei supporti scrittori che si sono succeduti nell’arco dei secoli fino ad oggi, con particolare riferimento alla carta antica e moderna e alle mediazioni grafiche. La carta, come tutti i materiali, subisce le insidie del trascorrere del tempo ma i processi di invecchiamento possono essere più o meno accelerati se interviene l’azione di agenti patogeni di natura chimica, fisica e biologica a ridurne l’aspettativa di vita. Fare una corretta diagnosi delle patologie che affliggono la carta e scegliere di conseguenza i più corretti metodi di cura, significa conoscerne la struttura e i suoi componenti, i processi di fabbricazione, i meccanismi di deterioramento, attività che viene svolta da una equipe di esperti di varie discipline scientifiche in un continuo dialogo con esperti di discipline umanistiche . Lo studio di un manufatto comporta una fase preliminare di diagnostica con tecniche assolutamente non distruttive che non alterano il materiale da un punto di vista chimico-fisico e che non richiedono prelievi di campioni. Ho avuto il privilegio di studiare l’Autoritratto di Leonardo, definito da alcuni la “sindone laica”, con emozione e timore reverenziale verso un’opera che tutto il mondo ci invidia, osservandone visivamente ogni dettaglio possibile. L’Autoritratto, disegno a sanguigna datato al 1515, mostra evidenti segni di deterioramento in atto soprattutto a causa delle condizioni ambientali non favorevoli alle quali è stato sottoposto. Nel passato era stato affisso a parete senza alcuna protezione ed esposto all’azione di umidità, luce diretta, microorganismi. L’effetto è stato il caratteristico ingiallimento della carta che ha ridotto il contrasto tra disegno e supporto e una diffusa comparsa di macchie brune, causando un danno permanente all’opera. Le tecniche usate hanno permesso di definire il “quadro clinico”, usato poi come riferimento per il monitoraggio nel tempo delle patologie. Il disegno è stato sottoposto a un intervento minimale di restauro consistente in una pulitura a secco per la rimozione di tracce di sporcizia, polvere e altro che rappresentano un possibile terreno di cultura per agenti biologici. Per rallentare i processi di degradazione in atto, si è reso necessario un severo intervento di conservazione dell’opera che prevede un ambiente a condizioni stabili di umidita e temperatura, a valori controllati di luce e inquinanti atmosferici, idonei contenitori e alloggiamenti. Non posso non menzionare il Codex Purpureus Rossanensis, straordinario evangelario riconosciuto dall’UNESCO patrimonio dell’Umanità nel 2015, attualmente conservato presso il Museo Diocesano di Rossano Calabro. L’opera è realizzata in pergamena, che a differenza del papiro che la ha preceduta e della carta che la ha sostituita diversi secoli dopo, è un prodotto di origine animale che si ricava dal derma della pelle. Nel caso specifico, la pergamena è di provenienza ovina come si evidenzia dallo studio della distribuzione dei follicoli. Il Codex, opera bizantina del VI sec. i cui fogli in pergamena sono trattati con porpora (colorante che deriva da un mollusco della famiglia dei muricidi), scritta in caratteri onciali (caratteri greci maiuscoli) in oro e argento. È l’unico codice rilegato che contiene per intero il Vangelo di Matteo e parte del Vangelo di Marco ed è il più completo rispetto ad esemplari simili quali la Genesi di Vienna e i Vangeli di Sinope di Parigi costituiti da fogli sciolti. Alcune pagine del Codex sono impreziosite da miniature che illustrano alcune fasi della vita di Cristo, tra queste di notevole valore artistico é la prima raffigurazione notturna dell’arte cristiana. Dalla documentazione disponibile si evince che nei primi del Novecento il Codex fu sottoposto a restauro da parte di un illustre miniaturista che intervenne in maniera del tutto impropria, stirando a caldo le pergamene con gelatina e modificando di conseguenza l’aspetto delle miniature e facendo virare il colore purpureo in un indefinibile color nocciola. I danni furono irreversibili, e il caso di dire che la cura fu peggiore del male. Il Codex è stato sottoposto ad approfondire indagini chimiche, fisiche, biologiche, tecnologiche e a tutte le necessarie cure per il suo restauro e la successiva conservazione. Abbiamo identificato i materiali pittorici, abbiamo notato la prima evidenza sperimentale dell’uso della lacca di sambuco, colorante ottenuto dalle bacche, in un manoscritto così antico. Analisi microbiologiche per verificare il livello di contaminazione ha messo in evidenza che la polvere stratificata contiene funghi e batteri non attivi. Gli interventi di restauro si sono limitati alla sutura dei numerosi tagli e strappi e alla sostituzione della legatura, non coeva, in quanto risultata essere troppo pesante e poco equilibrata rispetto alla apertura e dunque alla consultazione del manoscritto, con rischio di causare ulteriori danni meccanici. Guardando al futuro, l’impiego dei vari supporti di memorizzazione digitali, la cui aspettativa di vita è oggetto di studio, non offrono le stesse garanzie di stabilità della carta, sia dal punto di vista del facile deterioramento sia dal punto di vista dell’obsolescenza tecnologica. Allo stato attuale la moderna tecnologia digitale non può sostituire l’impiego della carta, come conferma l’International Organization for Standardization (ISO) che ha istituito una commissione tecnica, di cui faccio parte, con il compito di studiare i requisiti tecnici di una carta detta “permanente”, destinata cioè ad avere una lunga esistenza. La carta non scomparirà, mai nei libri, nei documenti, nelle testimonianze scritte, nell’arte, è la memoria di un popolo. Conserviamo adeguatamente le nostre carte!”.

Di Luigia Aristodemo

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