Autori censurati, temi tabù, rivendicazioni identitarie. Negli ultimi anni nelle università si è creato un clima di intimidazioni morali e ideologiche che hanno pesanti conseguenze su studenti e ricercatori. Duecento studiosi tedeschi hanno fondato una Rete per promuovere la libertà di ricerca e respingere queste pressioni.
Sono già più di duecento le adesioni alla Rete per la libertà di ricerca scientifica fondata poche settimane fa in Germania su iniziativa di alcuni ricercatori tedeschi. Obiettivo è denunciare il clima di intimidazione che negli ultimi anni opprime sempre più il mondo accademico e promuovere la libertà di ricerca scientifica. Di questa iniziativa parliamo con una delle fondatrici, la storica Sandra Kostner, direttrice del master in Interculturalità e integrazione presso l’Istituto superiore di studi pedagogici di Schwäbisch Gmünd.
Oggi in Europa – ad eccezione forse dell’Ungheria – le minacce alla libertà di ricerca scientifica non vengono certo dallo Stato, ma dall’interno del sistema stesso e si tratta di pressioni di tipo ideologico, morale e politico. Quello a cui abbiamo assistito negli ultimi cinque-dieci anni circa è l’emergere di una precisa tipologia di ricercatori che considerano la ricerca e l’insegnamento innanzitutto un mezzo per realizzare la propria visione del mondo, per modellare la società su di essa. Si tratta di ricercatori che hanno una vera e propria agenda politico-ideologica, che vogliono perseguire attraverso la ricerca e l’insegnamento. Poiché si tratta appunto di modellare la società, questa tipologia di studiosi la si incontra soprattutto in quelle discipline che per propria natura sono particolarmente vulnerabili alle ideologie, ossia le scienze sociali e umanistiche. Ma gli effetti di questo fenomeno ricadono anche su altri campi: per esempio, uno dei temi su cui la discussione si accende spesso è quello del genere e non è raro che i biologi vengano pesantemente osteggiati perché affermano che dal punto di vista biologico i generi sono due, XX e XY, con una piccolissima percentuale di intersessuali. Questa è la distinzione biologica, che però non si adatta alla visione di coloro che sostengono che il genere è un costrutto puramente sociale e che ognuno deve poter arbitrariamente scegliere a quale genere appartenere. Per costoro naturalmente la biologia rappresenta un pesante affronto. Sanno bene che la loro ideologia non è sostenibile, semplicemente perché la biologia porta prove che loro non possono portare. E poiché non possono colpire la biologia sul terreno degli argomenti, gettano discredito sui biologi, accusandoli di sessismo, di essere di destra, di essere razzisti eccetera. Così, si avvelena il clima della ricerca nelle università. In alcuni dipartimenti sia gli studenti sia i ricercatori hanno paura di parlare liberamente, perché pensano che possa essere rischioso per la loro carriera. Nel corso degli ultimi anni ho ricevuto sempre più spesso segnalazioni di studenti che mi confessavano di avere paura di argomentare liberamente, per timore di prendere un brutto voto. Oppure studenti che pensano di dover citare determinati autori e invece ignorarne altri per ottenere un buon voto. Naturalmente tutto questo non viene detto esplicitamente. Nessun docente dice che se non citi questo o quell’autore, o viceversa, ti mette un brutto voto, ma si è creato un clima di mancanza di libertà molto pericoloso, sul quale vogliamo richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica con la nostra Rete per la libertà scientifica.