L’attrice Ira Fronten, 42 anni, venezuelana residente da molto tempo a Roma, è stata lanciata nel cinema italiano dal film “Il Ministro” con Gianmarco Tognazzi nel 2015. Ha recitato in “Tolo Tolo” di e con Checco Zalone lo scorso anno e in alcune importanti serie TV di Mediaset e RAI 1 come “Don Matteo”, “Un Passo dal Cielo”, “Due Mamme di Troppo” ed “Arrivata la Felicità”.
In questa intervista, però, ha voluto togliersi qualche sassolino dalla scarpa come attrice di origine straniera.
“Ira, da quanto tempo vive in Italia?”
“Dal 2006, sedici anni”.
“Ma purtroppo non ha ancora la cittadinanza italiana… Come vive questa limitazione?”
“Con molto dispiacere, perché sono una persona non integrata, di più, in questa società! Per vocazione, per diritto civile, sono molto attiva socialmente. Lavoro onestamente e so che dal punto di vista legale avrei potuto averla dopo dieci anni di residenza indipendentemente dal matrimonio. Non averla mi dispiace, anche perché sento che potrei ‘fare di più’. Per fortuna conduco una vita normale: posso uscire dall’Italia e rientrare quando voglio, lavorare con il mio permesso di soggiorno per un lungo periodo. Ovviamente, però, non posso votare e quindi non posso avere voce in capitolo con le persone che vorrei rappresentassero me e la comunità dove vivo, che è la mia comunità, piaccia o non piaccia a qualcuno (ride amaramente, ndr)! Non posso svolgere attività politica, che sarebbe ancora più utile, perché nel mio piccolo sono un punto di riferimento nella mia comunità. Mi dispiace non poter chiamare la mia seconda casa ‘casa’. Nonostante avrei avuto tutte le ragioni per tornare indietro, non ho voluto, perché per me l’Italia è casa mia: qui mi sento bene! Credo che la nazionalità non dipenda solo dal posto in cui ti capita di nascere, ma sia anche il posto in cui scegli di vivere”.
“Assolutamente. Ma neanche dopo il matrimonio ha ottenuto la cittadinanza, quindi?”
“No, perché non era una delle mie priorità. Pensavo di prenderla con calma, magari dopo aver avuto un figlio. Purtroppo, quando ho presentato la domanda, è subentrata una grave crisi matrimoniale e cinque anni dopo, nel 2016, è arrivata la separazione. Ho subito violenze anche dalla famiglia del mio ex marito, che mi ha addirittura fatto cancellare dall’anagrafe! Per fortuna avevo un lavoro a tempo indeterminato in un’azienda molto importante e potevo testimoniare che pagavo i contributi. Sono riuscita a riprendere la residenza prima che finisse l’anno, che in genere è il limite per farlo. Però sono andata in Prefettura e mi hanno strappato il decreto dalle mani! Mi sarebbe dovuta arrivare una notifica che non è mai arrivata… Solo nel 2019 su richiesta del mio legale, mentre sarebbe dovuta arrivare nel 2011! Per riassumere: non ho potuto prendere la cittadinanza a causa del mio ex marito, della sua famiglia e per una serie infinita di problemi burocratici. Ero rimasta senza casa, non avevo dove vivere e non potevo indicare un altro luogo di residenza, se non la casa coniugale da cui mi avevano cacciata, lasciandomi senza niente! Non opponevo resistenza a tornare in una casa che comunque non era mia, perché non l’avevo comprata io, ma è stato allora che mi hanno cancellata dall’anagrafe! Avrei potuto prendere la residenza in un altro posto, ma per onestà non l’ho fatto! Sono tornata in Prefettura ed è successo quello che è successo. Se devo dirla tutta, c’è stata anche mancanza di sensibilità da parte dei funzionari. Non c’erano motivi per negarmi la cittadinanza, perché non ho commesso alcun reato e non ho precedenti penali. Ho fatto due volte ricorso, ma niente. Ora siamo in fase di appello e sto aspettando l’esito”.
“Parliamo della vita precedente al tuo arrivo in Italia. Quali sono stati i suoi studi?”
Sono arrivata fino alle superiori in Venezuela e ho cominciato a lavorare molto giovane: a 16 anni. Non sono potuta andare all’università, perché ho dovuto aiutare la mia famiglia: mia madre con i miei sei fratelli più piccoli. Siamo stati abbandonati da mio padre. In quel momento, l’unica cosa che ho pensato, era che mia mamma era fuori tutto il giorno a lavorare e i miei fratelli sarebbero rimasti a casa da soli. Cosa ne sarebbe stato della mia famiglia? Mia sorella più piccola aveva solo nove anni ed eravamo in maggioranza femmine (cinque femmine e due maschi). Così mia mamma è rimasta a casa con loro e io sono andata a lavorare.”
“Come è approdata nel mondo dello spettacolo?”
“Fin da piccola volevo diventare attrice. Non ho condiviso il mio sogno con nessuno, perché da dove vengo, sarebbe sembrata una follia! Già mi consideravano la pecora nera della famiglia, perché avevo dei pensieri rivoluzionari, molto femministi! Una volta, a 13 anni, ho scandalizzato mia nonna (ride, ndr)! Ho sempre sognato in grande! Alla fine ho deciso di vivere la mia vita, perché ho capito che altrimenti sarei diventata una persona frustrata, depressa (già lo ero). Sono andata via dalla mia città, nel sud del Venezuela, e mi sono trasferita a Caracas. È stata dura: al mattino lavoravo in una profumeria e al pomeriggio frequentavo la scuola più importante costosa per diventare modella. Ambivo a diventare Miss Venezuela e poi a lavorare nel mondo delle telenovelas. Niente è andato come speravo – ricorda ridendo –, perché anche se sono riuscita entrare in gara per il concorso, ad un certo punto mi hanno cacciata senza dirmi chiaramente il motivo! Ero povera (sì, anche questo rappresentava un problema!), nera e non avevo alcun aiuto. Inoltre avevo preso un po’ di peso in più rispetto a quello richiesto! Poi ho avuto disturbi alimentari per parecchi anni per questo! Ero da sola in un meccanismo in cui giravano tanti soldi; erano candidate figlie di ministri o comunque di gente molto ricca… Allora ho capito che, se volevo diventare qualcuno ed anche aiutare la mia famiglia, sarei dovuta andare via dal mio Paese! Non avevo soldi, ma a Caracas è arrivato il secondo circo più grande del mondo e ho fatto l’impossibile per andarmene con loro! Guadagnavo in una settimana quello che in Venezuela guadagnavo in un mese! Sono andata in tournée in Colombia, Ecuador, poi loro hanno continuato nel resto del Sud America, mentre io sono emigrata in Argentina con l’intenzione di andare in Spagna. In realtà avevo provato due volte ad avere il visto per emigrare negli Stati Uniti, ma me l’hanno rifiutato, con tutta la frustrazione che ne è seguita. Sono quindi andata in Argentina, dove sono stata benissimo. Ho studiato teatro con una grande insegnante. Ho ottenuto i miei primi lavori, musical che hanno avuto molto successo, ma anche in quel caso non ero soddisfatta: volevo fare l’attrice di spettacoli più ‘seri’. Nel 1998 è uscito il mio primo film, una co-produzione spagnola, e presentavo un programma televisivo su un canale internazionale. Poi sono emigrata in Colombia con il mio primo compagno, ho sostenuto un provino per una serie TV e mi hanno presa come co-protagonista.
“Lei ha lanciato l’Italian Black Movie Awards e fa attivismo contro le discriminazioni nei confronti degli attori neri nel mondo del cinema: può parlarcene?”
“Sì, ho trovato un gruppo di attori italiani afro-discendenti che volevano unirsi per affrontare il problema della discriminazione etnica nel mondo del cinema e della televisione. Precedentemente ho partecipato ad un documentario con un regista che voleva creare un movimento, però purtroppo il progetto non è andato a buon fine. Dopo un paio d’anni ho trovato questo gruppo di giovani attori e si è creato un collettivo. Abbiamo organizzato anche una tavola rotonda a Venezia con scrittori e giornalisti: era la prima volta che in Italia si parlava del razzismo, della discriminazione e di come gli stranieri venivano rappresentati: il ‘cattivo racconto’, dove stranieri e straniere vengono mostrati solo come sempre pericolosi e sfortunati (spacciatori, prostitute ecc.). Piuttosto meglio non parlarne! Poi a Roma abbiamo incontrato anche registi, produttori ed affrontato di nuovo questo argomento. Purtroppo il gruppo si è disintegrato, perché gestire queste cose non è facile… Però non volevo arrendermi: ho voluto assolutamente istituire il Premio, anche investendo i pochi soldi che avevo. La prima edizione c’è stata nel 2019 anche grazie alla Lazio Film Commission e alla Regione Lazio. È stato un successo pazzesco! C’era il Parco della Casa del Cinema pieno di gente; attori che piangevano, perché per la prima volta vedevano riconosciuto il loro lavoro, il loro talento! Grazie a queste iniziative e a tanti altri movimenti, si sono mosse un po’ le acque. Oggi, con grande soddisfazione, vediamo che in Italia ci sono più serie TV in cui c’è l’inclusione di attori italiani afro-discendenti. L’anno scorso non ho potuto organizzare il Premio per la questione del Covid. Quest’anno ovviamente vorrei farlo. Non è facile trovare i fondi, perché tutto ciò che riguarda i neri, gli stranieri, incontra ancora più difficoltà di finanziamento da parte dei privati. Però sto facendo tutto il possibile, anche eventualmente per farlo l’anno prossimo. Dobbiamo mettere insieme tutte le produzioni di questi ultimi tre anni. Il 2020 è stato già un anno che è iniziato già con un (discusso, ndr) film dal messaggio importante: ‘Tolo Tolo’ di Checco Zalone, a cui ho partecipato anch’io. Si tratta del primo film in Italia che ha più dell’80% del cast afro-discendente! Per quanto riguarda le serie TV, ci sono ‘Nero a Metà’ e ‘DOC – Nelle Tue Mani’ (in cui ha recitato Alberto Boubakar Malanchino, il dottor Gabriel Kidane, ndr) su Rai 1 e diverse produzioni Netflix. Per me avere l’opportunità che mi chiamino per un provino, per i motivi di cui sopra, è già un successo: è la maggior parte del lavoro fatto! L’importante è far sapere che sappiamo lavorare. Anche se poi il progetto non va in porto sempre per le stesse ragioni. Nella maggior parte delle serie per cui ho sostenuto il provino, avrei dovuto interpretare la madre e non venivo presa perché non assomigliavo ai figli o perché i ragazzi neri dovevano per forza essere adottati! Per quale ragione? Però il 2020, nonostante il Covid, è stato l’anno in cui ho fatto più provini nella mia vita, grazie alla mia agenzia. Mi hanno presa in quello più importante, con un celeberrimo regista americano, ma per contratto non posso parlarne”.
“Si occupa anche di discriminazione femminile nel mondo del teatro…”
“Sì, ho co-fondato un’associazione che si chiama ‘Amleta’ per la promozione sociale. Un collettivo di attrici, registe e drammaturghe di teatro. Abbiamo inviato alle istituzioni una mappatura (durata sei mesi) dell’occupazione femminile in teatro: quanta ce n’è e in quale ruolo per le minoranze. Abbiamo anche lì riscontrato che i teatri che vivono con i soldi pubblici non hanno rappresentazioni di queste stesse minoranze e nemmeno una buona quota per le donne. Stiamo parlando di un 32,4% contro un 67% di uomini! I dati sono su Internet, li abbiamo forniti al Ministero (facciamo parte del Consiglio Permanente per lo Spettacolo). Se poi un’attrice ha portato uno spettacolo in più teatri, risulta che l’occupazione femminile percentuale scende drasticamente e magari quella maschile aumenta (22% contro 80%)! Stiamo insomma cercando di rafforzare la presenza femminile, di fare in modo che ci siano più direttrici di teatro, più spettacoli al femminile, che parlino del femminismo, della femminilità e dell’emancipazione delle donne. Non soltanto della donna che subisce o come madre, ma anche come donna capace di pensare, di prendere la sua vita in mano”.
“Che discriminazioni subiscono quindi gli attori neri, in pratica?”
“In Italia c’è ancora molta discriminazione. Personalmente sono felicissima che dopo il primo provino che ho fatto per ‘Un Passo dal Cielo’ (in cui poi Ira ha recitato, ndr), la casting director Teresa Razzauti abbia chiamato il mio agente per elogiarmi. Mi ha definita una delle migliori attrici che aveva trovato in Italia! Ha detto che purtroppo non c’erano tanti ruoli per me, ma dove possibile, sarei stata coinvolta. Sono passati gli anni ed ora ci sono i ‘blind cast’, dove un attore viene chiamato esclusivamente per la sua capacità interpretativa e non per il colore della sua pelle, aspetto fisico o altro, così sono stata chiamata per fare quel provino importante a cui ho accennato precedentemente e ho ottenuto la parte. Con un regista italiano sarebbe stato impossibile. Avrebbe avuto bisogno che fossero indicati il colore della mia pelle e la mia ‘drammatica’ storia di immigrata! Ci dev’essere ‘sempre’ una provenienza per giustificare un determinato ruolo per un attore nero (un insegnante di scuola, per esempio)!”.
“Lei ha denunciato che gli attori neri sono sottopagati rispetto ai bianchi …”
“Sì, è così! Mi è successo personalmente, nonostante avessi già alle spalle tre film internazionali. Prendevo meno degli attori che erano appena usciti da una famosa accademia teatrale romana! Mi sono stati fatti problemi perché ero sconosciuta e anche perché ero nera! Il mio agente, uno dei primi che aveva creduto in me, era furibondo! Mi ha detto che mi voleva in un ruolo importante, che voleva intentare una causa per ciò che si era sentito dire e giustamente ha parlato di razzismo! Però gli ho detto di lasciar perdere, altrimenti non avrei più lavorato in Italia. Ha inviato una risposta via e-mail protestando e alla fine mi hanno pagato anche meno di quello che mi avevano proposto prima! Ho accettato, perché da qualche parte dovevo ‘ripartire’ (ero in Argentina, quando sono stata richiamata qui)!”.
“Come viene trattato il problema del razzismo oggi nel cinema in Italia e nel mondo (visto che se ne sta parlando molto negli Stati Uniti)?”
“Negli Stati Uniti stanno facendo delle cose meravigliose! Anche in America Latina! I broadcast stanno cominciando a capire che certe persone vogliono vedersi rappresentate. Anche per merito del Movimento Black Lives Matter, i casting non considerano ‘più’ l’etnia e la provenienza sociale (a meno che ovviamente non ci sia un argomento specifico come la schiavitù). C’è una piattaforma che ha permesso a tutti gli attori neri di iscriversi per poter inviare un auto-provino. Poi la stessa piattaforma li inviava a tutti i casting director per far conoscere questi artisti. Sono l’unica in Italia che l’ha fatto. C’è molto razzismo anche negli Stati Uniti, ma le vedute si stanno ampliando. Il ‘clima’ perfetto è in Inghilterra, anche per quanto riguarda gli spettacoli teatrali classici. E’ possibile che Otello sia una donna, perché un attrice stata la più brava a fare il provino! Il pubblico è di un livello molto alto e non fa polemiche od ipotesi offensive. Tuttavia, dato che il ‘blind cast’ sta prendendo piede anche qui, attualmente sto preparando ‘Romeo e Giulietta’ a teatro e devo interpretare Frate Lorenzo! Per la prima volta potrei interpretare Shakespeare a teatro! Non sono certo molti i personaggi neri nelle opere di Shakespeare e anche Otello viene quasi sempre interpretato da bianchi! Sogno di diventare protagonista di una serie TV in Italia: mi sento in grado! Giorni fa ho avuto la conferma da persone che lavorano con gli attori più importanti al mondo. Il regista mi ha elogiata due volte direttamente e di nascosto gliel’ho sentito fare in inglese nella cabina di regia! Sono rinata, perché questa è gente che non fa complimenti gratuitamente a nessuno! Non ha neanche il tempo di farli! Ho ricevuto molto affetto anche da una famosissima attrice con cui ho recitato e alla quale nessuno si può avvicinare! Mi auguro che cambino le cose qua: non per farci il favore, ma perché quando un artista ha qualcosa da dare, il pubblico lo gradisce, è felice e va a letto contento dopo una giornata di lavoro! Capita anche a me come spettatrice!”.
“Pensa che in generale ci sia razzismo oggi in Italia?”
“Direi che l’Italia è un Paese diviso in tre, non in due come l’America: è più complesso. E’ diviso tra chi è a favore, chi è contro e chi è in mezzo e cerca di capire. Socialmente io non vivo e non ho mai vissuto il razzismo in Italia: i miei amici sono italiani, mi fanno sentire e con loro mi sento italiana. Lo stesso avviene con le mie amiche di ‘Amleta’ (ventotto socie e quattrocento tesserate). Ho vissuto il razzismo soltanto nel mondo del lavoro. Però vedo anche tanta gente che vuole cambiare e ho pure avuto tanti attestati di stima da parte di registi e sceneggiatori italiani importanti. Magari loro vogliono raccontare un’Italia diversa, ma quando i loro progetti arrivano ai ‘piani alti’, ti dicono che il pubblico non è abituato a vedere un’attrice nera in quel ruolo”.
“Come si dovrebbe combattere il razzismo? Parlarne nelle scuole potrebbe essere una soluzione?
“Sì, ovviamente parlandone nelle scuole, ma vedo che per fortuna i ragazzi sono molto aperti. Spesso provano fastidio quando tu chiedi loro se abbiano un compagno di scuola ‘scuro’, straniero e vuoi sapere come lo trattino e come lo vedano! Loro ti rispondono che è semplicemente un compagno di scuola e tu, adulto, ti senti ridicolo ad aver posto una domanda del genere! Credo che si debba più che altro fare formazione ai genitori e ad alcuni nonni, che ancora hanno una mentalità chiusa. È chiaro che certe programmazioni televisive sono fatte pensando a loro! Eppure queste persone sono spesso figlie di emigrati italiani, magari in Sud America, e non sono necessariamente bianchissime: talvolta sono meticce! Si può fare formazione nelle scuole, perché i bambini rispondano agli adulti che pensano ancora in un certo modo. In questo le programmazioni TV possono aiutare molto. A me piacerebbe per esempio presentare un programma alla Rai, avere una rubrica in cui si parla degli stranieri o dei latinoamericani. Il Sud America ha dato molto all’Italia, ma non ci sono programmi per parlare dei latinoamericani. Esistono solo per parlare di vacanze! Ci sono milioni di latinoamericani qui, che votano, che hanno la doppia cittadinanza. Vorrei parlare di queste persone… Anche per quanto riguarda il teatro, gli stranieri non ci vanno (tranne quelli lo amano veramente tanto), perché non si sentono rappresentati! Ad ‘Amleta’ teniamo anche i ‘Mercoledì di genere’, in cui invitiamo ospiti di rilevanza sociale. Giorni fa abbiamo avuto ospite una scrittrice e regista teatrale, che diceva che in Italia stiamo assistendo ad un appiattimento culturale mai visto! Siamo rimasti indietro! Ciò che ci auguriamo, è che ci sia apertura, più accettazione del diverso (in generale). Non considero l’Italia un Paese razzista, ma un Paese che ha paura di crescere. Invece non bisogna avere paura della crescita, perché poi per l’italiano, quando conosce il diverso, questa differenza non esiste più. Lo vivo nella mia vita privata e mi ritengo fortunata.”
“Quando si toccano temi come il razzismo, si incontrano spesso il buonismo e il politicamente corretto … Talvolta forse si tende a negare o a minimizzare il problema. Pare anche a Lei?”
“Sì e il buonismo mi dà più fastidio del razzismo ‘sincero’. Perché in questo secondo caso, penso che ci si possa sedere e parlare, mentre non sopporto la finta simpatia, una certa eccessiva confidenza che riscontro con gli stranieri. Accetto di più il politicamente corretto, ma fino ad un certo punto. Significa che le persone vogliono ‘cercare di fare qualcosa’, ma non sanno come. Non mi piace quando mi definiscono ‘di colore’: quale colore? Io sono una donna nera! Capita che dicano ‘attori un po’ scuri’! Che vuol dire (ride, ndr)? Però non è ‘colpa’ di queste persone: non sanno qual è il modo giusto di esprimersi … Anche noi che siamo parte di una minoranza, dobbiamo prendere coscienza che non siamo tutti preparati, con la volontà e la pace interiore, a portare gli altri a capire la nostra situazione. Se non hai vissuto certe cose, non le puoi capire e magari quando ti approcci ad una persona, le fai più male, perché non hai vissuto ciò che hai vissuto lei. Allora noi dobbiamo essere un po’ pazienti e far capire che il modo per gestire un problema non è quello corretto. Dobbiamo saper suggerire qual è. ‘Amleta’ fa anche questo, perché difendiamo anche donne che sono state abusate e in alcuni casi violentate. Anche noi abbiamo dovuto imparare e impariamo a chiamare per nome le cose e a questo servono i nostri ‘Mercoledì di genere’.
Intervista a cura di Alessandra Boga