Siamo veramente sull’orlo dell’abisso se pronunciare il termine “studenti” da parte di un professore universitario significa essere sessista. Accade all’Università Statale di Milano. Mentre la guerra infuria e le famiglie piangono, l’ateneo distribuisce linee guida addirittura ai professori; suggerendo loro come meglio rivolgersi ai loro studenti, per non offenderli. Mentre nei luoghi bombardati in Ucraina distribuiscono il vademecum di sopravvivenza per evitare la morte; a Milano la Statale, d’intesa con il sindaco Sala, pensa a introdurre il vademecum sul linguaggio di genere. Con l’ obiettivo di «garantire l’equa rappresentazione della donna». Alzi la mano chi durante la propria carriera universitaria si sia sentita sminuita o umiliata di fronte a insegne quali “Segreteria studenti”, “Appello per studenti fuori sede” o quant’altro attiene alla vita universaitaria. Siamo alla follia e non da oggi.
Delirio gender alla Statale di Milano: il libretto grottesco
Il decalogo universitario che pretende di insegnare ai docenti come parlare è lungo 15 pagine – informa Libero che ha rilanciato la notizia- e intende «rimuovere gli ostacoli di genere, fra i quali si ritiene sia da ricomprendere un uso della lingua non sufficientemente inclusivo». Così introduce l’aureo libretto Marilisa D’Amico, prorettrice a legalità, trasparenza e parità dei diritti. Facile immaginare lo scherno che sta suscitando: ” Perplessità e ilarità fra i docenti. Di fatto propone regole di comportamento nell’approccio orale e scritto di insegnanti e amministrativi. È un dizionario di buone maniere, è un «bon ton» senza l’autoironia di Lina Sotis, con consigli paradossali”.
“Studenti” è sessista. Meglio “comunità studentesca”
Qualche esempio: o si scrive (e si dice) «studentesse e studenti» oppure si deve optare per «comunità studentesca». Perché il semplice «studenti» puzza di sessismo. Nella comunicazione orale i professori dovranno usare «locuzioni che rendano visibili i generi». Il rettorato chiede che il Garante degli studenti diventi «Garante della comunità studentesca», che i Servizi agli studenti diventino «Servizi allo studio». Non c’è ancora la schwa ma ci siamo quasi sull’orlo dell’abisso.
La prorettrice vuole insegnare ai professori la “neolingua”
Altri esempi: vanno bandite le naturali formule “Gentili colleghi, Buongiorno a tutti, Si invitano i relatori”. Il politicamente corretto vuole regole tassative: «Gentili colleghe e gentili colleghi; Buongiorno a tutti e a tutte; Si invitano i relatori e le relatrici». “Segue – leggiamo- un surreale dizionario dalla A alla Z con le parole al femminile per «superare dissimmetrie grammaticali e semantiche»”. Praticamente vogliono insegnare a parlare ai proferrori, ritenendoli pregiudizialmente “analfabeti, spiegando loro che il femminile di alunno è alunna, di avvocato è avvocata, di curatore è curatrice”, e via discorrendo. Dietro queta follia non possiamo non vedere la mano di Michela Murgia e la sua ossessione da salotto radical chic. Come sbagliarsi ?
Delirio gender: vogliono insegnare i professori a parlare
La vestale del femminismo tutto facciata, niente sostanza, figura infatti nella biografia del già tanto delirante libretto diffuso dalla Statale. Il suo “Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire” è ormai praticamente una “religione” per certi circoli. Il delirio gender prosegue a grandi passi. L’intesa dell’Ateneo con il Comune di Milano è un altro capitolo del ridicolo: Sala piange miseria con Roma per i 200 milioni di buco di bilancio; ma non ha ritegno di investire risorse «in materia di formazione e sostegno sui temi del linguaggio di genere».