Ricostruita la voce di una mummia egizia di 3000 anni

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Ricostruita la voce di una mummia egizia di 3000 anni – La stampa in 3D degli apparati vocali di una mummia ha permesso di riprodurre il suono che emetterebbe oggi, se solo potesse parlare.

Per Nesyamun, sacerdote del tempio di Karnak a Tebe, nell’Antico Egitto, la voce era uno strumento di lavoro fondamentale: sosteneva i canti, le preghiere e le funzioni del suo ruolo di leader religioso e di scriba. Quando l’uomo morì, 3000 anni fa, mai avrebbe immaginato di tornare a parlare – seppure per produrre soltanto un breve lamento vocalico.

Un gruppo di ricercatori della Royal Holloway, University of London, ha ricostruito il tratto vocale di Nesyamun con l’aiuto di stampanti 3D. Riuscendo così a produrre non tanto la voce che il sacerdote aveva in vita, ma quella che avrebbe oggi se potesse esprimersi così com’è, avvolto dalle bende, sdraiato in un sarcofago, senza lingua e con la testa reclinata all’indietro. Un’impresa non da poco, infatti il suono, che potete ascoltare qui sotto, somiglia più a un vago mugugno…

La mummia che si trova al Leeds City Museum, è una delle meglio conservate nel Regno Unito. Nel 2016 David Howard, ricercatore esperto in linguistica e fonetica, la portò in ospedale per una TAC, che rivelò un apparato vocale praticamente intatto. Grazie alla maestria degli imbalsamatori, Nesyamun conservava gran parte degli organi che usiamo per parlare.

Gli scienziati hanno realizzato una copia 3D del tratto vocalico del sacerdote compreso tra labbra e laringe, che hanno connesso a un altoparlante. Il tutto è stato collegato a un computer che ha permesso di produrre un’onda sonora elettronica, simile a quelle dei sintetizzatore, e di generare il suono vocalico che avete sentito. In pratica, la mummia è stata dotata di una “laringe artificiale”.

Nella ricostruzione del suono, i ricercatori hanno dovuto riempire con un software le lacune create dal tempo e dalla lunga sepoltura. Il palato molle (cioè la regione posteriore del palato) era scomparso, e la lingua – che la mummia esibiva fuori dalla bocca – ormai raggrinzita. Si pensa che a uccidere Nesyamun possa essere stata la puntura di un insetto avvenuta proprio sulla lingua, che suscitò una reazione allergica dagli esiti fatali. L’assenza di questi elementi essenziali rende difficile produrre suoni più articolati di una singola vocale. Per ricostruire intere parole servirebbe conoscere anche la fonetica in uso all’epoca in cui visse il sacerdote.

Gli antichi egizi credevano che pronunciare il nome di un defunto equivalesse a riportarlo in vita, e ognuno di loro desiderava conservare la propria voce anche durante il viaggio nell’Aldilà: solo così era possibile sottoporsi al giudizio degli dei e confermare di avere avuto un’esistenza virtuosa.

Chi superava questo test si guadagnava l’epiteto di maat kheru, “giusto di voce”, “giustificato”: un termine che compare sulle iscrizioni del sarcofago di Nesyamun. Lo stato di mummificazione del corpo e questo auspicio scritto a chiare lettere sulla tomba hanno fatto del sacerdote il soggetto ideale per il curioso esperimento, tentato in passato anche su un’altra mummia celebre – quella di Ötzi, l’Uomo di Similaun.

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