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Fare cinema a Kabul, il coraggio di Sahraa Karimi: “Se tornano i talebani, mi uccidono”

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Sahraa Karimi
Instagram: @sahraakarimi

Kabul – Incontro con la direttrice della compagnia di Stato “Afghan film”: “Non siamo più le donne di venti anni fa: abbiamo studiato e adesso conosciamo i nostri diritti. Il Paese è cambiato”.

«Se i talebani tornassero, sarei la prima ad essere rimossa o uccisa». Sahraa Karimi, nota regista afgana, è anche la prima donna a dirigere l’Afghan film, una compagnia di Stato che si occupa della produzione e della distribuzione di film e documentari nel Paese. Ma è anche il posto dove le vecchie pellicole dei film afgani sono state protette e sono tuttora custodite. Film che i talebani decisero che andavano distrutti, come accadde per i libri e per i quadri. Gli impiegati, in quegli anni ’90, rischiarono la vita per salvare alcune delle pellicole.

Istituita alla fine degli anni ’60 la casa di produzione è sopravvissuta, ma per il cinema afgano sono sempre tempi duri. In attesa in una saletta antistante con alcuni manifesti di film come Osama, che raccontava la storia vera di una bambina che si finse maschio durante il regime dei talebani, c’è Samir Khaderi, un attore che ci mostra le foto del suo corpo tumefatto dalle botte di quando è stato rapito per due giorni dai talebani. Lo hanno picchiato tanto che credeva sarebbe morto.

Sahraa Karimi conosce bene queste storie, arrivano da tutto il Paese, chiunque voglia fare spettacolo è nel mirino della militanza dei talebani che tutto sono, tranne fanatici dell’arte. Ha studiato a Bratislava, è tornata a Kabul per girare i suoi film, “Hava, Maryam, Ayesha”, la storia di tre donne legate alla maternità, nel 2019 ha avuto la sua premier al Festival di Venezia. «Quello che cerchiamo di fare è di promuovere il cinema in un paese dove non ci sono i cinema, a Kabul, l’unico che funzionava è in mano alla municipalità e non ce lo vuole dare, facciamo serate in alcune sale, ma quello che è importante in questo momento, è che si arrivi a una definizione del cinema afgano in patria e all’estero. Quello che vorrei è riuscire a rendere la vita più semplice per la nuova generazione di registi, ma per quanto li si possa aiutare ci sono dei blocchi oggettivi, quali la mancanza di fondi e l’insicurezza».

Gli afgani sono un popolo amante della musica, delle feste, di quella tradizione della poesia orale e mistica che molto si addice al cinema. I film e i documentari che vengono prodotti, in qualche modo cercando di essere socialmente educativi, ma anche ripercorrono la storia di un Paese che poco ricorda momenti di pace. «Qui arrivano soprattutto film iraniani e indiani. Agli afgani piacciono le storie d’amore, hanno voglia di sognare e Bollywood che culturalmente è vicino ma allo stesso tempo molto diverso, è attraente per noi. Nel 2019 abbiamo prodotto 11 film, tra cui cinque corti, cinque fiction e una commedia». E la commedia è una cosa su cui ha deciso di puntare perché gli afgani hanno bisogno di sorridere, di immaginare un mondo diverso da quello dove vivono ogni giorno dove perfino salire su autobus o andare a scuola, è una roulette russa.

Karimi, che ama Michelangelo Antonioni, ha un aspetto delicato con occhi dorati che accendono l’ufficio. Ma è tutto tranne che tranquilla, ogni donna che in Afghanistan fa qualcosa, nasconde un’anima d’acciaio. «Non credo che i talebani torneranno, qualora accadesse, saranno loro a doversi adattare, perché non siamo le donne di 20 anni fa, abbiamo studiato e conosciamo i nostri diritti», e poi ammette che i talebani la conoscono e non la amano. Forse per questo la sede dell’Afghan Film si trova nella zona verde, la cittadella fortificata di Kabul, dove le strade costeggiano mura di cemento, punteggiate da posti di blocco con soldati armati sempre all’erta. Mura che nascondono tutto, che si tratti dell’Ambasciata italiana o del quartier generale della Nato. Si può immaginare una pace con i talebani dove il compromesso è rinunciare all’arte in nome della fine del bagno di sangue? Sahraa Karimi sorride come se la risposta fosse scontata: «L’arte e la cultura sono l’anima della pace, senza non sarà mai pace».

La Repubblica

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