Pedrizzi: “Le banche italiane macinano utili ma bastonano i clienti e limitano l’accesso al credito”

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L’indagine fatta da Banca d’Italia sulla spesa dei conti correnti raccoglie interessanti informazioni sulle spese di gestione effettivamente sostenute dalle famiglie italiane nel corso di un anno, documentate negli estratti conto, rilevando commissioni applicate ed interessi connessi ad eventuali scoperti e affidamenti.

Sono stati esaminati quasi 13.000 conti correnti bancari e 1.000 conti correnti postali, selezionati su 605 sportelli bancari e 49 sportelli postali ed includendo quasi 1.000 conti on line non riferibili a sportelli. Nel 2020 la spesa per la gestione di un conto corrente è risultata pari a 90,9 euro superiore a quello dell’anno precedente (90,7 euro). (Sarebbe stato però interessante poter disporre anche di un raffronto con tutti gli altri sistemi bancari europei).

Le spese che le banche scaricano sui clienti

Tale dato è il risultato di due tendenze opposte e riferibili separatamente alle spese fisse, cresciute di 4,3 euro, e alle spese variabili, diminuite di 4,1euro; le prime sono state alimentate da alcune commissioni, come il canone di base; le seconde sono diminuite per effetto di una contrazione pressoché generalizzata dell’operatività. Inoltre la commissione unitaria di istruttoria veloce (CIV), applicata sugli sconfinamenti e sugli scoperti di conto corrente, è cresciuta da 17,9 a 18,9 euro e la quota di clienti esentati dalla MDF (Messa a disposizione dei fondi) è passata dal 42 al 36 per cento.

Questo significa che gli istituti bancari si sono fatti pagare da un numero più consistente di clienti la commissione per aperture di credito, piuttosto che sostenerli in questa fase di emergenza. In pratica si è verificato che il cliente ha diminuito l’utilizzo dei servizi, ritenendo in tal modo di ridurne i costi, ma le banche aumentando le spese fisse si sono rimangiato il sacrificio, facendo rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta. Eppure questo aumento è il quinto consecutivo.

La variazione di spesa complessiva, che a prima vista appare modesta, in effetti se si considera solo il cambiamento delle commissioni sarebbe stata pari a 1,9 euro. Le spese fisse, che ammontano a 64,1 euro e rappresentano circa i due terzi della spesa complessiva, sono cresciute infatti di ben 4,3 euro (2,1 nel 2019).

Gli aumenti non sono dovuti a maggiori servizi ma a più recuperi di ricavi

La diminuzione delle spese variabili, pari a 4,1 euro, riflette una pressoché generalizzata contrazione dell’operatività. Famiglie ed imprese cioè hanno pensato di risparmiare riducendo il ricorso alla banca che invece ha aumentato le spese fisse, pareggiando le entrate, anzi aumentandole.

Nel 2020, inoltre, la spesa per il pagamento dell’imposta di bollo è stata di 17 euro (17,2 euro nel 2019); includendo questa imposta, la spesa di gestione sale a 107,9 euro. Occorrerebbe, pertanto, se si volesse veramente alleggerire la situazione di difficoltà della clientela anche qui un intervento dello Stato, per ridurre la pressione fiscale.

La commissione di istruttoria veloce (CIV) (che venne introdotta allorché fu eliminato il cosiddetto Massimo scoperto, cioè la percentuale di interessi maggiorata che la banca si faceva pagare sulle punte di massimo indebitamento, anche quando questo si verificava per un solo giorno recuperando in quella occasione quello che si era perso) è cresciuta di due euro, attestandosi a 28,9 euro. Il che significa che il cliente viene bastonato proprio quando ne ha più bisogno. Già nel 2020 l’importo della CIV applicata sugli sconfinamenti e sugli scoperti di conto transitori era stato pari a 18,9 euro, in aumento di un euro rispetto all’anno precedente.

Accanto a questo vero e proprio balzello ingiustificato, si è aggiunto anche un incremento dei tassi applicati sugli sconfinamenti e gli scoperti di conto, dal 9,8 al 10,6 per cento. Si tratta di un vero e proprio tasso usuraio, visto che il costo del denaro per le banche attualmente viaggia pressoché sotto lo zero. Anche i tassi applicati sugli affidamenti regolarmente autorizzati, peraltro, sono cresciuti dal 7,1 al 7,6 per cento.

Cala la remunerazione dei depositi bancari

Di contro la remunerazione dei depositi è ancora in calo, essendo pari allo 0,2 per cento (0,6 nel 2019). Quindi il cliente, da un canto, non guadagna nulla sulle proprie giacenze, anzi se si aggiungono le tasse e le commissioni, la remunerazione risulta del tutto negativa, dall’altro paga spese, commissioni ed interessi debitori continuamente in aumento. Ed i risultati di queste politiche si sono visti subito, se si esaminano i bilanci semestrali del 2021 delle principali banche italiane.

Cinque miliardi e 958 milioni (diconsi cinque miliardi novecento cinquantotto milioni di euro) è la somma degli utili netti semestrali dei sei grandi gruppi bancari nazionali: UniCredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Bper, Banco Bpm e Carige, triplicando i risultati del 2020. Ma anche istituti più piccoli presentano numeri positivi: Banca Ifis ha un utile netto di 48,3 milioni di euro, Illimity 27,4, milioni e Banca Sistema 8,5 milioni. Inoltre, Banco Bpm ha registrato un utile netto di 361,3 milioni dai 105,2 milioni al 30 giugno 2020 (+243,4%). 502 milioni è l’utile netto del primo semestre di Bper.

Gli utili comunicati dagli istituti di credito

Intesa Sanapaolo ha comunicato un utile netto semestrale di oltre 3 miliardi, ovvero +17,8% rispetto allo stesso periodo 2020, con il risultato del periodo aprile-giugno pari a 1.507 milioni, uno dei migliori trimestri di sempre. Mps, nonostante sia agli onori delle cronache, ha chiuso il primo semestre con un utile di 202 milioni dopo la perdita di 1,09 miliardi dello stesso periodo del 2020.

Il fattore positivo per tutti è stata la crescita delle commissioni nette. Infatti Unicredit chiude i primi sei mesi 2021 con un utile netto di 1,92 miliardi proprio grazie al balzo delle commissioni (+21,4% su base annua a 1,7 miliardi). Il risultato netto di gestione è balzato a 1,58 miliardi di euro, rispetto ai 788 milioni del secondo trimestre del 2020.

Se a questa politica di incremento di spese si aggiunge che nella concessione dei crediti risultano ridotti i finanziamenti, si vedrà che non sempre il sistema bancario ha svolto a pieno il ruolo di sostegno all’economia reale. Infatti gli affidamenti di Unicredit sono scesi da 489,9 miliardi a 446,6 miliardi in diminuzione dell’8,8%, quelli di Mps sono calati da 82,6 miliardi a 82,2 miliardi con una contrazione dello 0,5%.

Complessivamente le prime sette banche del Paese hanno tagliato crediti a famiglie e imprese per 18,8 miliardi, essendo lo stock di impieghi complessivo passato da 1.249,1 miliardi a 1.230,2 miliardi in diminuzione dell’1,5%.

Sarebbe perciò necessario che la politica iniziasse a svolgere in questa direzione un’azione di moral suasion nei confronti di tutto il sistema bancario, che, peraltro, ha retto molto bene sia alle passate crisi finanziarie che a quelle della pandemia.

Secolod’Italia

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