Volano i prezzi del “carrello della spesa”. Prezzi mai così alti dal 1984

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Volano i prezzi del “carrello della spesa”. Prezzi mai così alti dal 1984 – Ad agosto nuovo aumento del 9,7%.  Un aumento che, secondo le associazioni della distribuzione, ancora è solo in parte ricaduto sui consumatori finali e, se non si interviene, è destinato ad accentuarsi e porterà molte imprese alla chiusura.

Volano i prezzi del “carrello della spesa” che ad agosto segnano un aumento del 9,7%, numeri che non si vedevano da giugno 1984. A dirlo è l’Istat che nelle stime provvisorie diffuse oggi sottolinea come ad accelerare siano i prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +9,1% a +9,7%).

Un’impennata che, secondo le associazioni della distribuzione, ancora è solo in parte ricaduta sui consumatori finali e, se non si interviene, è destinata ad accentuarsi e porterà molte imprese alla chiusura. Ma a pesare sul prezzo dei prodotti non è solo il costo dell’energia. A rendere l’impatto ancora più pesante è anche il cambiamento climatico che sta mettendo in ginocchio le produzioni agricole a causa della siccità.

È, infatti, una “tempesta perfetta” quella che si sta profilando, spiega all’AGI il presidente di Federdistribuzione, Alberto Frausin. “Nel campo alimentare noi, come sistema paese, scontiamo il fatto che non siamo produttori di materie prime salvo troppe poche eccezioni. Questo ci espone a inflazioni che in qualche modo sono anche frutto di speculazioni”.

“L’elemento che evidentemente ha pesato, già prima della guerra in Ucraina, è purtroppo anche il cambiamento climatico. Il grano in Canada, che era il nostro bacino piu’ importante, l’anno scorso ha dimezzato l’impatto produttivo dovuto a un problema di siccità. Quindi ci sono anche degli effetti che per sfortuna in questo periodo si incrociano, tali per cui l’inflazione di alcuni dei prodotti di materie prime è altissimo”, rimarca Frausin.

“Noi compriamo le materie prime, le trasformiamo, il nostro sistema produttivo sta subendo una serie di costi dell’energia che sono evidenti e la subiamo tutti, dall’industria alla distribuzione, anche la logistica. Non c’è un settore che non subisce questo impatto. Più un prodotto è a basso valore e più l’impatto è grosso. Ci sono tante variabili all’interno, il risultato è che stiamo su un fronte aperto su tutti i fronti possibili“.

Quanto pesa “l’energia”

Per la distribuzione moderna, “la chiusura non è una opzione. Noi abbiamo una catena del freddo per la quale non abbiamo risposte dal punto del costo dell’energia”, aggiunge il presidente di Federdistribuzione.

Secondo Marco Pedroni, presidente di Coop Italia, “dal 2019 al 2023 solo per la moderna distribuzione, il costo dell’energia passa da 1,5 miliardi a quasi 6 miliardi, stiamo parlando di più del 300%. In termini di proporzione con le vendite, l’energia pesava un punto e mezzo sulle vendite della distribuzione, nel 2022-23 peserà fino a 5 punti. è tantissimo, perchè la grande distribuzione ha di utile netto medio del settore che non supera 1 punto e mezzo. Se l’energia pesa 4-5 o 6 punti vuol dire che vanno in rosso i conti economici delle imprese. Il problema è serio non solo per le imprese ma anche per i consumatori”.

Questo perchè, prosegue ancora Pedroni, “aumenteranno ulteriormente sui prezzi”. La distribuzione, afferma Pedroni, “per ora ha trasferito solo una parte degli aumenti dei prezzi che l’industria ci ha trasmesso attraverso i listini, ma a quella parte che ha trasferito sui consumatori si dovrà aggiungere un pezzo di energia che pesa dai 2 ai 3,5 punti. Il problema è anche l’impatto che si avrà sui consumatori finali che vedranno un’inflazione da costi che erode il loro potere di acquisto che è fatta non solo da prodotti alimentari che aumentano, ma anche dai costi dell’energia. Quindi siamo di fronte a un doppio effetto”.

Secondo Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad, “la situazione è molto grave: il 30% del totale dei costi di un punto vendita sono assorbiti dall’energia” e “rischieremo di vedere molti negozi che chiudono. La nostra struttura industriale e commerciale è caratterizzata da imprese con una bassa patrimonializzazione: saranno le prime che andranno in grave difficoltà”. C’è quindi, secondo Pugliese, la necessità di “un intervento strutturale nel nostro paese per garantirci un approvvigionamento differente di gas e una rigassificazione”.

“Si è arrivati a questa situazione perchè ci sono stati eventi imprevedibili”, spiega poi il vicepresidente di Confcommercio, Lino Enrico Stoppani, sottolineando che “sono a rischio chiusura 120mila imprese del terziario, da qui al primo semestre 2023, e 370mila posti di lavoro“. Il secondo rischio, prosegue, “è quello di un calo dei consumi che si trascina con sè l’impossibilità di gestione del debito pubblico”. Dalla distribuzione arriva unanime la richiesta al governo di risposte certe ed efficaci in tempi rapidi.

Agi

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