Donne che avanzano e donne costrette invece ad arretrare nel campo dei diritti: sono le due facce della questione femminile oggi in Medio Oriente. Da un lato, le donne saudite proseguono lungo il cammino dell’autodeterminazione, un cammino fatto di piccoli passi da gigante che fa storcere il naso a chi non vede di buon occhio il fatto che sia la nuova leadership dell’Arabia Saudita a promuovere uno straordinario processo di riforma e apertura che ha le potenzialità di generare una rivoluzione copernicana all’interno di tutto il mondo musulmano. Donne fotografo, donne pilota, donne in carriera, in politica e nel mondo degli affari: sono queste le donne saudite accorse allo stadio di Gedda per lo storico evento della Supercoppa italiana del 16 gennaio. Velate e non, sole o accompagnate, in ogni caso felici perché sentono che il loro momento è arrivato. Ed è solo l’inizio.
D’altro canto, troviamo le donne yemenite di cui è recente la notizia degli arresti arbitrari e degli stupri ad opera delle milizie Houthi. Le stesse che hanno definitivamente allontanato le prospettive di pace sparando sul convoglio del capo del gruppo di osservatori dell’Onu incaricato di monitorare il rispetto del cessate il fuoco a Hodeida, sancito dall’accordo di Stoccolma. Gli Houthi hanno dato ragione agli scettici sulla loro inaffidabilità quali interlocutori e stanno ora spargendo il terrore nella capitale occupata Sana’a, individuando nelle donne un bersaglio facile da colpire. Sulla natura degli Houthi, tuttavia, nessuna sorpresa, essendo fatti della stessa pasta dell’Iran khomeinista che li foraggia.
Basta gettare lo sguardo sull’altro versante del Golfo per osservare lo spettacolo raccapricciante di decine di giovani donne incarcerate perché attiviste per i diritti umani, prigioniere politiche di un regime che ha ridotto la donna a vittima sacrificale della sua rivoluzione estremista. Malgrado la feroce repressione, il regime dei mullah non è ancora riuscito a piegare la vera “resistenza”, quella dei giovani iraniani. Le donne, in particolare, continuano a rigettare l’imposizione del velo, sfidando il regime in pubblico così da essere filmate per testimoniare alla rete e al mondo intero che l’obiettivo resta il cambiamento, anche di regime.
Dall’Iran all’Iraq il passo è breve ed è un cammino purtroppo intriso di sangue. Le donne stanno pagando anche con la vita il loro impegno per i diritti umani, per la libertà e la dignità. Brutalmente uccise da sicari che rispondono agli ordini delle milizie estremiste che infestano il paese, impedendo l’agognata stabilizzazione dopo la chiusura della tragica parentesi chiamata Isis. Tali milizie, al pari di quelle Houthi, fanno capo a Teheran, che si dimostra capace di offrire alle donne della regione solo cupe prospettive di oppressione e isolamento, in linea con la visione tipica dei Fratelli Musulmani, di cui l’Iran khomeinista è la versione sciita.
I piccoli passi da gigante delle donne saudite devono essere molto malvisti in quel “mondo di mezzo” dell’estremismo sotto il controllo della Fratellanza, in Medio Oriente come in Europa. E sono molto malvisti alla corte degli emiri del Qatar e del sultano neo-ottomano Erdogan in Turchia, i principali sostenitori dei “progetti” di conquista di Oriente e Occidente perseguiti dai Fratelli Musulmani. Insieme, Qatar, Turchia, Iran e Fratelli Musulmani formano il nuovo “polo” dell’islamismo mondiale, una minaccia mortale per la pace e la sicurezza internazionale e per i diritti delle donne musulmane, a partire dal diritto alla vita.
La sottomissione della donna è infatti il perno della dittatura ideologica che l’islamismo intende imporre attraverso le primavere arabe e l’inganno del multiculturalismo europeo. L’ascesa delle donne saudite è d’ostacolo a tale progetto ed è per questo che la comunità internazionale è chiamata a sostenerle senza ambiguità.
di Souad Sbai per L’Opinione delle Libertà