Quattro a zero agli Emirati e finale di Coppa d’Asia raggiunta. Il dato sportivo non ammette contestazioni e complimenti dunque alla nazionale del Qatar. D’altro canto, allargando l’orizzonte allo scenario più ampio all’interno del quale s’inserisce l’incontro che si è svolto ieri ad Abu Dhabi, non è antisportivo o fuori luogo far rilevare come gli animi e i sentimenti della gran parte del mondo arabo – che resta moderata e aspira ai diritti umani, alla pace, alla sconfitta dell’estremismo e del terrorismo – abbiano rivolto il proprio supporto calcistico non certo alla squadra che portava i colori del regime di Doha.

Gli emiri del clan Al Thani continuano a servirsi dello sport come strumento di potere e non di semplice acquisizione di maggiore visibilità sul palcoscenico internazionale, come sarebbe stato comprensibile e legittimo. Il calcio, in particolare – basti pensare ai contestati Mondiali 2022 -, ma in generale tutte le competizioni sportive – lo scorso settembre a Doha hanno avuto luogo i Mondiali di nuoto –  concorrono al conseguimento del medesimo obiettivo: proiettare l’ego di Hamed, Tamim e il resto della famiglia Al Thani sul tetto del mondo, da dove imporre la propria dittatura declinata attraverso l’ideologia fondamentalista della Fratellanza Musulmana.

Il finanziamento dello sport, come il finanziamento del terrorismo, di attività sovversive nei Golfo, in Medio Oriente e Nord Africa, di attacchi cibernetici, con il suo esercito di hackers, e di attacchi mediatici, con le fake news di Al Jazeera e i numerosi centri di propaganda online gestiti dai militanti dei Fratelli Musulmani: campi d’azione diversi ma al contempo correlati perché parte integrante di un’unica grande strategia, di un’unica partita che il regime di Doha vuole vincere a tutti i costi, quella del potere mondiale.

A pagare il prezzo più alto è stato proprio il mondo arabo, con la distruzione di Siria e Libia, con la crisi cronica e l’impoverimento di Egitto e Tunisia, con il dolore provocato dalla costante spina nel fianco della Fratellanza Musulmana, che continua a essere il principale impedimento a ogni soluzione politica che riporti stabilità e rilanci le prospettive di cambiamento e sviluppo nella regione.

Senza dimenticare gli oltre 5 mila lavoratori stranieri di provenienza asiatica morti finora nella costruzione degli stadi che dovranno ospitare i Mondiali 2022, né quelli che sono ancora vivi e gravano in condizioni di schiavitù per fare di Hamed e Tamim Al Thani i re del mondo dello sport e non solo.

Dal canto suo, l’Occidente resta a guardare, spettatore “pagato” di questa brutta partita, ma che paga a sua volta per la sua stessa ignavia con la diffusione al suo interno, tanto in Europa, quanto in Nord America, dell’estremismo dei Fratelli Musulmani, veicolato attraverso la copertura di oscuri luoghi di culto (per lo più non autorizzati) e centri culturali, entrambi finanziati dal Qatar. L’Italia ne sa qualcosa, ma continua a lasciar fare, interessata esclusivamente agli investimenti con cui il regime di Doha sta comprando l’avanzata della propria agenda islamista nel paese.

La partita, tuttavia, non è certo finita. La gran parte del mondo arabo non intende soggiacere alla smania di potere del clan Al Thani e dei Fratelli Musulmani. Ha già reagito con la controffensiva diplomatica, economica, politica e culturale guidata dal Quartetto contro il terrorismo, composto da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, e non smetterà di lottare perché in gioco c’è il proprio futuro.

Ed è per questo che sportivamente, alla finale di venerdì 1° febbraio, grideremo “Forza Giappone”.

di Souad Sbai per L’Opinione delle Libertà