L’usurpazione neo-ottomana compiuta da Recep Tayyip Erdoğan della Basilica di Hagia Sophia a Istanbul è stata interpretata in Medio Oriente e Nord Africa per quello che realmente è: un rilancio da parte dell’asse islamista, guidato da Turchia e Qatar, della “lotta continua” avviata con la cosiddetta Primavera Araba per la conquista della regione attraverso la rete di partiti, organizzazioni, militanti e finanche milizie e sodalizi terroristici che fanno capo ai Fratelli Musulmani. Il corso futuro dei Paesi arabi dipende pertanto strettamente da come questi riusciranno a fronteggiare in maniera efficace la minaccia della Fratellanza e dei suoi patroni ad Istanbul-Ankara e Doha, auspicabilmente sconfiggendoli ed evitando così di sprofondare nel pozzo senza fine del fondamentalismo e del jihad contro l’Occidente e il resto del mondo.
Il conflitto non è solo armato, come in Libia e Siria, o ristretto all’anti-terrorismo, si veda l’Egitto, ma si svolge anche in ambito politico-istituzionale. Sotto questo profilo, particolarmente rilevanti sono gli sviluppi della situazione interna in Tunisia. Dal lockdown di Ben Ali, il Paese è infatti passato a quello di Ennahda, il partito dei Fratelli Musulmani. Finora, il fronte laico e moderato è riuscito a controbattere al tentativo di Ennahda di stabilire una propria dittatura ideologica fondamentalista. Tuttavia, a causa delle divisioni e delle nefaste guerre intestine, continua a lasciare agli islamisti un margine di manovra molto ampio, abilmente sfruttato dal leader di Ennahda, Rachid Ghannouchi, che ha preteso e ottenuto la carica di presidente del parlamento per portare avanti l’agenda della Fratellanza a livello sia domestico che regionale in aperto coordinamento con Erdoğan.
La “diplomazia parallela” intrattenuta con il presidente-sultano-dittatore turco è stata oggetto di pesanti critiche per gli sconfinamenti di Ghannouchi nelle prerogative in materia di politica estera e di sicurezza appartenenti esclusivamente al presidente della Repubblica, Kaïs Saïed. La leader del Partito Costituzionale Libero e deputata in parlamento, Abeer Moussa, ne ha chiesto più volte le dimissioni, accusandolo di operare contro gli interessi della Tunisia, di vendere il Paese in cambio di denaro e di ricorrere alle minacce per intimidire gli oppositori. Moussa ha invitato le donne tunisine a reagire al fondamentalismo di Ennahda, che si contrappone all’affermazione di uno Stato laico, moderato e rispettoso dei diritti umani, promuovendo una petizione nella quale si chiede la messa fuori legge dei Fratelli Musulmani, come avvenuto nei giorni scorsi in Giordania.
Ad Amman, la Corte di Cassazione ha emanato una sentenza che ordina lo scioglimento del ramo locale della Fratellanza per non aver adeguato il proprio statuto alla legge sui partiti promulgata nel 2014. In sostanza, i Fratelli Musulmani giordani non hanno voluto rimuovere dal documento la propria affiliazione ai Fratelli Musulmani egiziani, messi nuovamente fuori legge dal Cairo dopo la caduta di Mohamed Morsi. Un criterio simile non potrebbe essere applicato al caso della Tunisia, se Ennahda dovesse continuare ad operare per conto di Turchia e Qatar?
Ghannouchi, da par suo, procede dritto secondo le prospettive islamiste, ulteriormente rinfocolate dalla “presa” altamente simbolica di Hagia Sophia, forte del sostegno esterno di Erdoğan. Ed è con questo sostegno che è riuscito a boicottare la breve esperienza di governo di Elyes Fakhfakh, sgradito e perciò costretto alle dimissioni da primo ministro in seguito a una mozione di sfiducia per un caso di presunto conflitto d’interessi che la dice lunga sul comprovato ascendente di Ennahda su una certa magistratura tunisina. Il Paese si ritrova così ancora senza un governo stabile e messo nelle condizioni di agire adeguatamente per imboccare la via d’uscita dalla grave crisi economica e sociale che da tempo lo attanaglia.
Ma ai Fratelli Musulmani tunisini questo non importa, avendo già il loro Stato-nello-Stato presieduto da Ghannouchi e popolato da un numero di militanti, seguaci e affiliati tale da consentire ad Ennahda di conseguire a ogni elezione la maggioranza relativa dei seggi in parlamento: quanto basta a tenere in ostaggio la Tunisia, dove però la “resistenza” della stragrande maggioranza della popolazione all’asse islamista continua, così come nel resto del mondo arabo.
Di Souad Sbai per L’Opinione delle Libertà