Con il coronavirus in “vacanza” e sulla spinta dell’ideologia e del business, la sinistra ha ritrovato spazi utili per il rilancio del suo tema preferito: i migranti.
Per i soliti Graziano Delrio (Pd) e Matteo Orfini (Italia Viva?) il dibattito sul boom di sbarchi in Sicilia, ma anche in Sardegna (da luglio ad oggi, oltre 7mila arrivi) non verte sulle conseguenze in termini di sicurezza e salute pubblica. Le fughe dagli stremati centri di accoglienza, il pericolo della trasmissione del Covid-19 da parte di soggetti infetti, le nuove sacche di criminalità che andranno ad essere alimentate, i costi che il già esanime erario statale dovrà affrontare in tempi di grave emergenza economica: tutto ciò aumenta l’ansia degli italiani, ma non sembra preoccupare affatto i due “apostoli” dell’immigrazionismo, che hanno invece colto l’opportunità per imporre nuovamente al centro del dibattito l’introduzione dello “Ius soli”, mascherato da “Ius culturae”.
Il “reggente” del Movimento Cinque Stelle, Vito Crimi, si è detto contrario a tale proposta, definendola “inopportuna e intempestiva”, dando fiato a coloro che insistono nel mettere in evidenza le divergenze tra le anime che compongono la maggioranza parlamentare su cui poggia il Governo rosso-giallo. Si tratta, tuttavia, di divergenze solo apparenti. Tra i rossi e i gialli continua infatti il gioco delle parti, stile “poliziotto buono, poliziotto cattivo”, già messo in scena sul Mes e su questioni che chiamano in causa l’Unione europea.
Nella coppia, il Movimento Cinque Stelle mostra il volto “duro”, per non perdere ulteriori consensi a “destra”, ma è la sinistra Pd-Italia Viva(?) a dettare la linea da seguire. Questo lo sa bene il premier Giuseppe Conte, che si è rivestito di carattere affermando di non poter “tollerare che si entri in Italia in modo irregolare”, ma solo a giochi ormai fatti, ovvero a sbarchi avvenuti e a migranti redistribuiti tra le regioni (e non certo tra i Paesi dell’Ue, secondo gli accordi “à la carte” siglati dall’Esecutivo).
Stessa recita anche da parte di Luigi Di Maio, che ha persino invocato l’affondamento delle barche utilizzate dai trafficanti. In cerca di sponde europee, il ministro degli Affari esteri si è poi rivolto a Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, la cui assicurazione di “personale interessamento” non equivale però a più di una pacca sulla spalla.
Quasi silente, da dietro le quinte, è la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, ad officiare alla reale politica del governo sui migranti, che vanta quali suoi pilastri – come già durante i Governi Renzi, con Marco Minniti al Viminale ‒ il “lasciar fare” a barche e barchini, accompagnati a riva da Ong e Guarda costiera, e la disseminazione degli arrivi lungo tutto il territorio italiano. La ministra si è da poco recata in Tunisia, Paese da cui è in corso un vero e proprio esodo (nel 2020, su circa 15mila sbarchi, 6mila sono tunisini), per sollecitare le autorità locali a una maggiore cooperazione, ma anche in questo caso a giochi fatti. Come a giochi fatti è giunto l’annuncio di una linea “dura e inflessibile” contro l’immigrazione illegale, elogiato da Conte. Il premier si è spinto fino a garantire “rimpatri accelerati”, con riferimento alla Tunisia, forte della lettera indirizzata al presidente Kaïs Saïed e della visita da questi effettuata ai porti tunisini.
In realtà, che i rimpatri non siano all’orizzonte dell’azione di governo lo si deduce dalle due grandi navi noleggiate dal Viminale e inviate sulle coste siciliane non per riportare i migranti in Tunisia (in applicazione delle regole, trattandosi di immigrati economici), ma per fargli svolgere il periodo di quarantena, al termine del quale verranno molto probabilmente redistribuiti in centri di accoglienza qua e là sulla terraferma.
Mentre il processo a Matteo Salvini per il caso “Open Arms” e l’abrogazione dei “famigerati” decreti sicurezza servono a soddisfare le pulsioni della militanza terzomondista che detta l’agenda alla sinistra, offrendo un incentivo per le Ong ad operare come braccio operativo complementare del Governo giallorosso a beneficio, di fatto, del traffico di esseri umani dalle coste di Tunisia, Libia e del resto del Nord-Africa.
L’imperativo dei porti aperti (chiusi ipocritamente solo per tre giorni in aprile, durante il picco dell’emergenza coronavirus) resterà così in vigore, senza tenere nel benché minimo conto la questione sicurezza legata alla concreta possibilità che terroristi e radicalizzati possano mescolarsi ai migranti per raggiungere l’Italia e inserirsi nel suo tessuto sociale, come già accaduto nella fase più calda della guerra civile siriana.
Parole, soltanto parole, sono dunque le ultime dichiarazioni degli esponenti dell’Esecutivo sulla crisi migratoria. Non c’è nessun cambiamento in vista nella missione della sinistra.
Di Souad Sbai per L’Opinione delle Libertà