Papa in Iraq: dito puntato contro gli islamisti

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Papa Francesco è rientrato a Roma, dopo i giorni straordinariamente intensi e di grande significato passati in Iraq. Gli incontri e le tappe effettuate offrono da sé una spiegazione dei vari risvolti della sua visita, sia sul piano apostolico che politico. Nel primo caso, l’attenzione è stata tutta per le comunità cristiane locali, martoriate da anni di sofferenze e tribolazioni. Rapimenti, sequestro di case e proprietà, uccisioni: la fuga nella regione autonoma del Kurdistan (dove il Pontefice ha celebrato una messa solenne), quando non in altri Paesi del Medio Oriente o occidentali, come unica via di salvezza dall’inferno della Piana di Ninive su cui si è abbattuta la follia distruttiva di Al Qaeda prima, dell’Isis poi e oggi delle milizie estremiste sciite legate al regime khomeinista iraniano.

Non c’è ancora pace, non c’è ancora sicurezza per i cristiani iracheni e ciò non favorisce il loro contro-esodo, l’esercizio del diritto al ritorno in Patria, nel proprio Paese d’origine. D’altro canto, seppur decimati, i cristiani iracheni rimasti a Mosul, Qaraqosh e altre località, non hanno certo perso la speranza per un futuro migliore, come dimostrato dalle manifestazioni di gioia ed entusiasmo con cui hanno accolto Papa Francesco. Una gioia ed entusiasmo, le cui ragioni può comprendere appieno solo chi ha davvero patito per circostanze avverse come guerre e persecuzioni. Da leader spirituale e religioso, il Pontefice ha rinfocolato di nuove energie positive l’animo dei cristiani iracheni, affinché mantengano salda la speranza e su di essa costruiscano nuove prospettive di vita.

Di nuove prospettive in Iraq non sono però affamati soltanto i cristiani o altre comunità come gli yazidi: è tutta la popolazione, specie la nuova generazione in costante protesta, a rivendicare diritti umani, libertàdemocrazia, gridando basta a corruzione e violenza. È su tutta la popolazione irachena che pende il terrore generato dalle milizie sciite che imperversano ovunque, da nord a sud, uccidendo attivisti e chiunque si opponga al loro strapotere, con un occhio di riguardo per le donne che si battono per eguaglianza e diritti.

A desiderare la fine, il più presto possibile, del cosiddetto “settarismo”, alimentato da Teheran anche in Iraq, è la stessa maggioranza sciita, che ha come punto di riferimento la moderazione del Grande Ayatollah, Sayyid Ali Al Sistani. Dalla città santa di Najaf, Al Sistani continua infatti a contrapporsi all’estremismo islamista degli ayatollah, oggi capeggiati dalla sedicente guida suprema del regime, Ali Khamenei, successore di Khomeini.

Non a caso, dopo l’arrivo a Baghdad e l’incontro con le più alte cariche istituzionali irachene, il presidente della Repubblica, Barham Salih, e il nuovo primo ministro, Mustafa Al-Kadhimi, Papa Francesco si è subito recato a Najaf da Al Sistani: uno smacco per Khamenei, ma non solo. Il “siete tutti fratelli”, motto della sua visita in Iraq rilanciato nel corso dell’incontro interreligioso svoltosi nella Piana di Ur, località simbolica per le religioni abramitiche, è un dito puntato contro tutti gli islamisti del Medio Oriente e del mondo intero, che pensano che i “fratelli” siano solo quelli “musulmani”.

Il richiamo di Papa Francesco, pertanto, è risuonato come un ammonimento anche alla corte del sultano Recep Tayyip Erdogan in Turchia e degli emiri Al Thani in Qatar, i grandi sponsor dell’islamismo internazionale. La “Fraternità Umana” invocata con la storica firma del documento di Abu Dhabi insieme al Grande Imam di Al Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, e la visita successiva in Marocco, è un banco di prova che gli islamisti non riescono ancora a superare, essendo rimasti prigionieri di logiche di guerra, conquista, predominio e sottomissione, dirette sia ai musulmani che ai non-musulmani, in un quadro dove continuano ad alimentare insicurezza e instabilità.

All’ammonimento si accompagna comunque la speranza, la speranza di un ravvedimento che induca l’islamismo a deporre le armi, “rinunciando ad avere nemici”, come richiesto da Papa Francesco. A Istanbul, Doha, Teheran, lo ascolteranno?

di Souad Sbai per L’Opinione delle Libertà

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