Nel marzo del 2019, al termine di giorni densi di incontri e trattative, il governo italiano ha firmato a Roma il Memorandum of Understanding (MoU). Con esso l’Italia è entrata a far parte del gruppo dei partner della Cina nel progetto Belt and Road Initiative (BRI), noto come Nuova Via della Seta, inaugurato dal Presidente cinese Xi Jinping nel settembre 2013.
Ambizioso e strategico dal punto di vista commerciale e finanziario – dai chiari risvolti politici – esso mira a collegare la Cina ai mercati dell’Europa Occidentale via terra e via mare. La BRI, avendo esteso le sue ramificazioni fino all’Africa e all’America Latina, aspira all’integrazione internazionale cinese sul piano culturale, energetico e, come si è detto, finanziario. Un vasto programma che punta apertamente all’egemonia in quello che viene già definito il “secolo asiatico”.
L’influenza planetaria di Pechino non è più un’ipotesi. Essa si è lanciata attraverso la BRI alla conquista dell’obiettivo che sembrava meno “aggredibile”, e che, invece – grazie alla classe politica italiana, inadeguata e incline ad approfittare di ogni occasione pur di dividere l’Europa e lucrare qualcosa – si è rivelato più facile del previsto: la conquista del Mediterraneo.
Secondo il “Libro bianco” del Congresso Nazionale del Popolo del marzo 2015 (il documento nel quale è descritta nei minimi particolari la visione e il piano d’azione di BRI), scopo finale del disegno politico-economico è l’istituzione di “uno spazio strategico stabile e favorevole allo sviluppo a lungo termine dell’economia cinese”. I paesi del Mediterraneo, privi di una strategia comune , quale poteva essere determinata dall’APEM, Assemblea per il Mediterraneo che vivacchia in attesa del tramonto definitivo, non hanno compreso che il Mare Nostrum o di difendere unitariamente o è destinato a diventare un grande lago per scorribande neo-coloniali.
Ed infatti, una volta terminata l’operazione di “conquista” di quasi tutta l’Africa, soprattutto attraverso gli aiuti militari ed un piano a vasto raggio di egemonia delle telecomunicazioni (il 70% delle reti 4G è stato realizzato dal colosso cinese Huawei, sicché si può dire che il Continente dipende totalmente da Pechino e l’uso delle nuove tecnologie che ne faranno i gerarchi di Xi Jinping è facilmente immaginabile), non resterà che il Mediterraneo, soprattutto attraverso i Paesi del Maghreb e del Mashrek, per raggiungere l’Europa, obiettivo finale della
Via della Seta.
L’Italia è un terminale strategico, insieme all’Olanda e alla Polonia, perché è uno dei principali ingressi delle merci cinesi in Europa. E siccome il nostro Paese è una sorta di piattaforma naturale nel Mediterraneo, ecco spiegato l’interesse di Pechino per l’Italia e gli appeasement recenti con alcune forze politiche di governo che dovrebbero favorire la penetrazione cinese.
In un’intervista al settimanale ‘ WirtschaftsWoche‘, rilasciata nel giugno 2017, la Cancelliera Angela Merkel disse: “Vista da Pechino l’Europa potrebbe sembrare una grande penisola asiatica, ma ovviamente noi consideriamo le cose diversamente. L’Europa deve dimostrarsi capace di difendere la sua influenza e, soprattutto, di parlare alla Cina con un’unica voce”.
In pochi giorni Bruxelles aveva dimostrato davanti ai cinesi il proprio dilettantismo non riuscendo ad articolare una posizione comune sulla politica dei traffici commerciali con la Cina, nello stesso tempo evitando di dare una risposta condivisa sulla questione dei diritti umani. Una prospettiva inquietante. La Cina è vicina o è già arrivata?
Intanto, per chi non se ne fosse accorto, il Mediterraneo è diventato una polveriera della quale poco o niente interessa ai Paesi del Nord Europa. Una sanguinosa polveriera dove le pretese
egemoniche di diversi Stati, a cominciare dalla Turchia in breve tempo metteranno i Paesi della sponda Sud in condizione di dover scegliere alleanze e sottostare ai diktat dei nuovi padroni. La Cina e la Russia mostrano in tal senso un attivismo palese; Erdogan con l’arroganza che lo distingue non si tira indietro e dovunque nel Mediterraneo può affermare la propria egemonia lo fa anche a costo di scatenare guerre sottili, insidiose, non proclamate.
La distruzione della Libia, programmata e portata a compimento da Sarkozy, con l’appoggio degli Stati Uniti e del Regno Unito ha aperto il Mediterraneo ad una guerra senza fine nella quale gruppi di jihadisti come Boko Haram, le cui base sono nel Sahara meridionale, condizionano la vita di diversi popoli dell’Africa centro-occidentale, con incursioni nel Paesi prospicienti il Mediterraneo, soprattutto nel Maghreb.
Il Mediterraneo, insomma, è una delle più importanti questioni geo-politiche davanti alla quale il silenzio dei governi europei ed occidentali, che mirano a conservare modeste porzioni di potere come mostra la politica italiana in Libia per fare un esempio, è scandaloso e miserabile. Non soltanto per le ricadute economiche e militari, ma anche per la fine di un’identità che si approssima laddove nacque la civiltà.