Le elezioni amministrative di ottobre si avvicinano ed i partiti stanno scaldando i motori. Di certo quella più importante è la sfida per Roma Capitale, città che esce dall’amministrazione M5S, per la prima volta né di centro destra né di centro sinistra.
I candidati a sindaco oggi in campo, certi, sono la stessa Virginia Raggi e Carlo Calenda. Sulla ricandidatura della prima i vertici grillini, non da ultimo Conte, sembra che facciano quadrato nonostante qualche mal di pancia della base ed i molti addii, nonché addirittura recenti notizie di stampa che ipotizzerebbero una clamorosa spaccatura con il M5S ed una corsa in solitaria come indipendente, il che mi sembrerebbe un vero suicidio politico per entrambi visto che i sondaggi non sono proprio esaltanti ed una divisione comporterebbe una debacle che avrebbe un’eco nazionale.
La candidatura del secondo, fatta in solitaria dopo l’addio al PD che pur lo aveva fatto eleggere eurodeputato, carica che ha mantenuto, ha a proprio favore di essere partita con largo anticipo nella
costruzione di un programma ed anche la validità personale dell’uomo, anche se avrei apprezzato come gesto di coerenza le dimissioni dal Parlamento Europeo, ma, si sa, rinunciare alle poltrone è sempre molto difficile.
Ad ogni modo né l’una né l’altro sembrano avere grandi chance di arrivare al ballottaggio, che vedrà, mi azzardo a prevedere, dopo la parentesi Virginia, il classico scontro centro destra contro centro sinistra nel quale un’importanza fondamentale avranno i candidati a sindaco che ancora, per nessuna delle due parti, sono individuati con certezza.
Il centro sinistra farà delle primarie di coalizione, ma il risultato appare scontato avendo il neo segretario del PD Enrico Letta incoronato Roberto Gualtieri, dopo i tentennamenti di Zingaretti, che, di certo, sarebbe stato un candidato più forte. Per noi miseri mortali la domanda sorge spontanea: ma se si possono fare le elezioni primarie il 20 giugno, perché si sono rinviate le elezioni amministrative ad ottobre? Forse qualcuno aveva bisogno di più tempo? Ma tant’è.
Il campo del centro destra ancora non ha deciso, ma sembra scontato si tratti di una figura civica di area, scelta politicamente valida per ampliare lo spazio di consenso, ma che avrebbe necessitato di maggior tempismo, dato che, a parte scelte, a mio avviso insensate, su personaggi della televisione e del giornalismo, che poco hanno a che fare con la complessità di governo della Capitale, un professionista valido, ma non noto al grande pubblico, ha bisogno di una campagna elettorale lunga per farlo conoscere (ed apprezzare) ai cittadini. Al momento chi sembra essere in pole position è il professore amministrativista Enrico Michetti, che ha un pedigree assolutamente adatto allo scopo ed un ottimo lavoro potrebbe fare, a condizione che sia affiancato da una compatta e competente squadra politica, che possa integrare la capacità tecnica con la sensibilità e l’empatia di chi, avendo fatto molte campagne elettorali, conosce bene i bisogni delle persone e li sa mettere al meglio in ordine di priorità.
Il dato, comunque, è che entrambi gli schieramenti maggiori ancora non sono pronti ad iniziare la campagna elettorale vera a propria, dovendo essere sciolto il nodo fondamentale dell’individuazione del candidato sindaco.
Quello che interessa, poi, ai cittadini, non è tanto questo o quel nome, ma i programmi, le cose da fare, che incidono direttamente sulla loro pelle. E di ciò i giornali parlano ben poco essendo più interessati allo scoop sul candidato, sulla scelta delle persone e sulle scaramucce tra partiti della medesima coalizione.
Quale potrebbe essere una soluzione nell’interesse di tutti? Mi azzardo a prospettare le primarie aperte obbligatorie per legge, strumento questo che obbligherebbe tutti i partiti a presentare in tempo utile una rosa di candidati validi, ma soprattutto a rendere noti ai cittadini i programmi, non solo l’ultimo mese di campagna elettorale, dove le promesse fioccano, ma nel
corso di un periodo almeno dei sei mesi antecedenti. Così da stimolare la più ampia partecipazione ed elaborare al meglio gli obiettivi da raggiungere e con quali mezzi.
A mia memoria, il primo esperimento di primarie aperte, ma non per legge, è stato effettuato dal Alleanza Nazionale nel 1998, per le elezioni provinciali di Roma. Fu un successo di partecipazione incredibile e, per la cronaca, il candidato proposto dalla minoranza, Silvano Moffa, vinse sia le primarie che le successive elezioni, diventando il presidente della Provincia di Roma fino al 2003.
Ricordo che nel 2004, insieme ad un gruppo di amici, fondammo il primo comitato per le primarie aperte e presentammo un progetto di legge di iniziativa popolare che prevedeva l’obbligatorietà delle primarie aperte per ogni tipo di elezione, ma, nonostante una copiosa raccolta di firme, rimase un progetto che non trovò spazio in Parlamento.
Poi, il PD, ma in generale la sinistra, cavalcò il tema ed in molte occasioni svolse primarie di coalizione. Ma tale modalità appare certamente restrittiva ed ha notevoli controindicazioni rispetto alle primarie aperte per legge. In effetti nel nostro Paese si potrebbe iniziare ad introdurle per la elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti di Regione, sperimentandone così l’efficacia.
Se oggi ci fossero state, i cittadini avrebbero avuto già non solo un candidato sindaco legittimato dal basso per ogni parte politica, ma anche programmi chiari ed ampiamente condivisi, così da poter dare il loro voto in maniera il più possibile consapevole e non per mera simpatia del momento.