L’operazione spregiudicata di Macron

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Quando il 1° maggio del 2017, poco prima delle elezioni presidenziali francesi, venne diffuso un mio video riguardante il profilo psicologico di Emmanuel Macron, il successo fu di molto superiore alle aspettative. In Europa venne rilanciato dovunque, e arrivò fino in Russia sulla Komsomol’skaja Pravda. Fu una soddisfazione non da poco, anche perché lentamente, ma inesorabilmente, la sua figura politica perse sempre più attrattiva sul popolo, confermando la mia diagnosi sulla sua capacità manipolativa e predatoria dell’opinione pubblica, la quale comprese poi l’inganno e la fallimentare seduzione.

Oggi mi chiedono un parere sul suo “mea culpa” in riferimento al comportamento fallimentare avuto in questi quattro anni a riguardo dell’infiltrazione islamista e dell’esplosiva situazione francese, dopo il suo di scorso contro il “separatismo” del fondamentalismo islamico che punta alla formazione di uno stato nello stato. La capacità camaleontica di Macron aveva già attirato la benevolenza di Elham Manea, la politologa e attivista per i diritti umani; ora, Céline Pina, ex esponente socialista, addirittura vede nel suo cambiamento il passaggio da “piccolo politico…senza visione…a uomo di Stato”.

Confermando la mia idea di Macron quale psicopatico di successo, dalla grande intelligenza e dall’altrettanto straordinaria capacità di gestire processi decisionali e scelte di opportunità, ritengo che la sua correzione di prospettiva sulla questione islamista sia un’operazione di disinvolto calcolo politico. Fornito di una eccellente empatia cognitiva, ovvero di capacità di autocontrollo, di previsione, di percezione delle necessità della gente, il suo cambio di prospettiva è narcisistico, gli serve per il mantenimento del potere, senza alcuna risonanza di empatia emotiva nei confronti – in questo caso – degli elettori.

Prima ha vinto ponendosi come moderatore delle pressioni della destra lepenista e per la pace e la tranquillità del popolo. Ora si presenta come difensore della Nazione e della laicità della Repubblica, scavalcando le istanze sia di Marine Le Pen che di Eric Zemmour, e supportando le sollecitazioni securitarie della massa.

Perché mentre i sondaggi parlano del 60 per cento di francesi ostili alla condizione migratoria in cui vivono, Macron deve fare i conti con un Rassemblement National che lo supera abbondantemente, e con l’ipotesi di scesa in campo Zemmour: due destre che vanno dalla moderazione all’estremismo, coprendo l’arco del malumore popolare, pur facendosi iniziale concorrenza.

Il “mea culpa” di Macron è un gesto calcolato con la disinvoltura e la capacità di mimetismo che lo contraddistinguono. Era irresponsabile e inaffidabile prima come lo è adesso, perché Macron pensa a sé, al suo Io, alla sua immagine interiore prima che pubblica. Macron mente perché il problema è l’obiettivo da raggiungere, come per il predatore sentimentale e il seduttore seriale.

Il fatto che abbia tirato fuori dal cappello un decreto-legge sull’integrazione e contro il separatismo dopo quattro anni di presidenza e ad un anno dalle elezioni la dice lunga sulla sua sfrontatezza narcisistica. Che le sue proposte siano irrealizzabili, come denuncia Chems-Eddine Hafiz, rettore della più grande moschea di Parigi, a questo punto è un dato secondario.

L’Eliseo val bene un imbroglio, per parafrasare Enrico IV di Navarra.

Di Adriano Segatori

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