Cashback di Stato, panem et circenses

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centrodestra draghi - calenda

Cashback di Stato – Panem et circenses è l’espressione, usata da Giovenale (Satire X, 81), con la quale venivano identificate le aspirazioni della plebe romana nell’età imperiale, ma essa è quanto mai attuale.
Dai al popolo pane e divertimento e ti voterà. Lo sa bene il Movimento 5 Stelle che ha concepito,
dapprima, il reddito di cittadinanza e, poi, il famoso cash back di Stato, che ha consentito ai cittadini elettori di ottenere il rimborso in denaro fino a 150 euro ogni 6 mesi e 300 euro l’anno nonchè bonus da 1.500 Euro purché effettuino acquisti con pagamento elettronico.
Entrambi i provvedimenti, fortemente ideologici, non hanno dato i risultati sperati e sono stati
estremamente costosi.
Fortunatamente Draghi si è reso conto delle gravi criticità del cash back e, con il nuovo decreto del
Consiglio dei Ministri dello scorso 30 giugno, lo ha sospeso a partire dal corrente mese di luglio, con grande soddisfazione di chi, come Fratelli d’Italia, l’ha da sempre avversato.
Non serviva essere esperti economisti e sociologi per comprendere come il provvedimento, slegato
completamente dal reddito, fosse a favore dei ricchi e delle banche, insomma di chi non ne aveva proprio
bisogno.
Con lucida lungimiranza un report stilato dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre aveva predetto: il
cash back “sarà un provvedimento che favorirà soprattutto coloro che possiedono una elevata capacità di
spesa: persone che, secondo le statistiche, vivono nelle grandi aree urbane del Nord, dispongono di una
condizione professionale e un livello di istruzione medio-alto. Insomma una misura a vantaggio dei ricchi, ma pagata con i soldi di tutti”.
Lumi sugli effetti del provvedimento si aspettavano dalla Corte dei Conti nel Rapporto sul
Coordinamento della Finanza Pubblica 2021, ma i Giudici contabili hanno ritenuto di non poter dare una valutazione per mancanza di dati adeguati. Il che lascia veramente perplessi. Ciò, comunque, non ha
impedito alla Corte di rilevare che “una prima analisi sulla gestione delle misure finalizzate a favorire l’uso della moneta elettronica, pur inevitabilmente parziale, ha fatto emergere l’esistenza di criticità e limiti nell’esperienza finora maturata. Relativamente al cash back sembrerebbero sussistere difficoltà a
monitorarne i reali effetti economici e tributari dalla misura”.
In ogni caso si è trattato di uno strumento costoso per le casse pubbliche (oltre 4 miliardi di Euro),
con benefici solo nei confronti di chi ha potuto spendere molto e delle banche che hanno incassato le
commissioni per le operazioni elettroniche.
Con la sospensione, fortunatamente, si libereranno 2 miliardi di Euro che, ci si augura, verranno
impiegati per il sostegno alle categorie maggiormente colpite dalla crisi pandemica.
Il favorire le transazioni elettroniche si inquadra nella, ormai annosa, lotta al denaro contante come
se esso fosse la fonte di tutti i mali.

Ma quando gli stessi 50 Euro contanti passano attraverso 50 diversi pagamenti, sempre 50 Euro
rimangono. Se la medesima somma con il medesimo numero di passaggi transita attraverso sistemi
elettronici, essa man mano si riduce, in considerazione delle commissioni bancarie per ogni passaggio (in media tra 0,50 centesimi ed 1 Euro), fino ad essere pari a zero, con la relativa ricchezza trasmessa alle
banche).
Poi è tutto da dimostrare che con la riduzione dei contanti si elimina l’evasione, ben altri devono
essere i mezzi per contrastarla, come, ad esempio, la possibilità di scaricarsi ogni spesa iniziando con
l’ampliare la platea delle deduzioni e detrazioni, così avremmo 60 milioni di controllori ed il problema
sarebbe definitivamente risolto, ma il discorso sarebbe lungo e servirebbe una decisa volontà politica in tal senso.
Fatto sta che oggi il limite è di 2.000,00 Euro e dall’anno prossimo sarà di 1.000,00 Euro, veramente
troppo esiguo.

Antonfrancesco Venturini

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