Roma produce circa 4.600 ton di rifiuti al giorno di cui 2.000 differenziati e avviati a recupero, mentre il resto va in discarica o rimane sulle strade come oggi.
La città, per la miope ed inefficiente politica delle discariche e della gestione dei rifiuti, annualmente distribuisce 310.000 tonnellate di rifiuti in Europa con un costo medio di raccolta e smaltimento di 473€/ton, cosa che fa arrabbiare i cittadini e gonfiare le tasche di chi del rifiuto ha fatto un business.
E’ noto il rimpallo di responsabilità tra Roma Capitale e la Regione Lazio, che ha portato anche a recenti battaglie legali avanti al Giudice Amministrativo pur di attribuire all’altro la responsabilità dell’emergenza, che è sotto gli occhi di tutti e che rischia di portare conseguenze anche per la salute pubblica, soprattutto nel periodo estivo, conseguenze di cui, in questo delicato momento storico di timida uscita dalla pandemia di Covid 19, di sicuro non sentiamo la necessità.
L’ideologia del “rifiuto zero”, tanto affascinante quanto irrealizzabile, ha condotto ad una sorta di immobilismo i cui effetti stanno ricadendo sui cittadini che vedono le loro strade invase dai cassonetti straboccanti, con gabbiani, topi e cinghiali che banchettano.
La politica dei rifiuti incentrata sul riciclo e sulle discariche, con guerra aperta ai termovalorizzatori ed agli impianti di trattamento, ha dimostrato la propria inadeguatezza.
E’ la stessa UE che indica l’opportunità di chiudere le discariche o comunque utilizzarle il meno possibile. Recente è la dichiarazione del capo della Unità Economia Circolare della Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea: “Gli inceneritori svolgono un ruolo complementare rispetto al riciclo, perché ciò che non può essere riciclato è meglio che venga trasformato in energia piuttosto che smaltito in discarica.”
Certo il tema, particolarmente sensibile, sarà importantissimo nella campagna elettorale per la tornata amministrativa di autunno ed il candidato sindaco che meglio darà prospettive di soluzione avrà una marcia in più.
Enrico Michetti, candidato del centro destra, è stato da subito chiaro sulla necessità di nuovi impianti e, sull’emergenza rifiuti, ha attaccato frontalmente: “La responsabilità è alla pari del Campidoglio e della Regione Lazio: bisogna avere il coraggio di dire la verità ai cittadini”.
Siamo nel XXI secolo e soluzioni tecnicamente avanzate possono essere trovate. Viene proprio da chiedersi perché, alla luce delle nuove tecnologie utilizzate in tutto il mondo, in questi ultimi anni non si è almeno cercato di instradare il ciclo dei rifiuti verso soluzioni ecologiche che risolvono il problema dei rifiuti trasformandoli in una fonte di reddito per le Amministrazioni stesse.
Volontà politica? Incapacità?
Certo che solo a Roma un business da quasi 1 miliardo di euro l’anno non è poca cosa.
Per contribuire alla soluzione di questo problema, c’è chi propone una soluzione innovativa, che abbatterebbe i costi di smaltimento, creerebbe posti di lavoro e che, non solo si autosostiene, ma trasforma i rifiuti in denaro: l’ultramacinazione.
Marco Germani, manager che ha studiato a fondo il tema con un gruppo di esperti, ritiene che distribuendo dei piccoli impianti finanziati dall’Europa di ultramacinazione sul territorio, il costo di trattamento dei rifiuti crollerebbe a circa 40€/ton rispetto ai 100€/ton di una discarica e 300€/ton di un termovalorizzatore.
Ad esempio, un’area urbana di 5.000 abitanti produce circa 50 ton/die di rifiuti solidi indifferenziati da cui si potrebbero ricavare 30 ton di combustibile, 3 ton di vetro, 2 ton di metalli ferrosi e non, 1 ton di inerti, mentre il resto è acqua, che viene utilizzata dallo stesso impianto senza emettere odori.
Il prodotto che uscirebbe sarebbe un polverino sterilizzato per le pressioni utilizzate nel processo ultramacinazione (8.000/15.000 atm), che distruggerebbe ogni flora batterica e quindi ogni odore e, nonostante sia inerte biologicamente, può essere trasformato tramiti pirolisi in olio combustibile, con un dispendio energetico largamente inferiore al valore energetico del combustibile che ne deriva.
Il passaggio successivo, potrebbe essere la realizzazione di centrali elettriche progettate per lavorare a 1.500°-2.000°, contro gli 850° degli attuali termovalorizzatori, temperatura che rende tutto il ciclo esente da emissioni.
Una serie di impianti di ultramacinazione, permetterebbe ricavi inaspettati che abbatterebbero il costo di gestione dei rifiuti mentre il residuo, una polvere secca sterile a livello batteriologico, abbatterebbe il volume da portare in discarica.
Se poi il residuo venisse trattato a 1400°, il ciclo dei rifiuti diventerebbe una grande risorsa economica abbattendo i costi energetici della città, diminuendo l’inquinamento, permettendo anche di dimenticare, anzi riciclare, le vecchie discariche che potrebbero essere trattate con lo stesso sistema.
Credo che varrebbe la pena approfondire detta soluzione, come qualsiasi altra comunque innovativa, e valutarne a fondo i vantaggi e le eventuali criticità.
La scienza va avanti e la politica non può fermarsi su posizioni ideologiche per risolvere un problema che riguarda tutti i cittadini.