Il fondamentalismo relativista

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Imprudenti e pericolose le conclusioni del pubblico ministero di Perugia, Franco Bettini, il quale, di fronte a dichiarazioni come: “Mio marito mi imponeva il velo integrale”, “Mi chiudeva in casa portandosi via le chiavi”, “Mi picchiava, mi offendeva, mi minacciava”, ha deciso l’archiviazione della denuncia di Salsabila Mouhib nei confronti del marito.

Visto che la signora “non avrebbe subìto aggressione fisiche tali da costringerla alle cure sanitarie”, la motivazione della discutibile decisione è racchiusa in un giudizio quanto meno censurabile: “Il rapporto di coppia viene caratterizzato da forti influenze religiose-culturali […] il velo integrale rientra nel quadro culturale […]”.

Siamo in un paese in cui un fischio per strada, un apprezzamento verbale, una strizzatina d’occhio diventano violenza sessuale in caso di denuncia, perché basta la percezione soggettiva dell’oltraggio patito; nel caso in esame lo schiaffo e la segregazione diventano parte del folclore.

Da un lato, il fondamentalismo sessuofobico di un femminismo castrante che vede il male con la griglia del politicamente corretto e del becerume ideologico. Dall’altro, il relativismo terzomondista per il quale ogni cultura, ogni tradizione, ogni usanza – purché rigorosamente allogena – deve essere tollerata, se non platealmente difesa.

Questa decisione giudiziaria dev’essere analizzata da due prospettive. Quella dell’imprudenza che rende ancora più difficile l’ipotesi già di per sé complessa e finora scarsamente attuata dell’assimilazione, se si accettano comportamenti da “extraterritorialità”, secondo la definizione di Bruckner, che continua avvertendo come “affermando di rispettare le differenze culturali o religiose, si rinchiudono gli individui in una definizione entico o razziale, li si risospinge nella nassa dalla quale li si voleva liberare”.

Quella della pericolosità implicita in un messaggio equivoco da Ponzio Pilato: quest’uomo, Gesù, lo trovo innocente, ma non essendo romano è un problema dei giudei. Non condivido il comportamento nei confronti di Salsabila Mouhib, afferma il pubblico ministero, ma è un problema dei musulmani e se la sbrighino tra loro. Qui si apre un’altra spinosa questione sull’ambiguo e subdolo concetto di rispetto delle culture diverse e magari inconsuete. Perché no, allora, la costituzione delle Corti della Sharia già numerose nella civilizzata Inghilterra: tribunali islamici che giudicano seguendo letteralmente le norme del Corano con la conseguenza scontata che le vittime sono comunque sempre le donne.

Ipotesi catastrofica? Profezia funesta? Esagerazione complottista? Pandora insegna: c’è sempre un precedente in una conseguenza, e spesso le intenzioni portano a danni non valutabili né prevedibili.

Il messaggio, invece, dev’essere inequivocabile: qui si applicano le leggi secondo il diritto romano, e l’integrazione deve, altrettanto decisamente, partire da questa accettazione.

Di Adriano Segatori

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