Afghanistan: i talebani comandano nell’indifferenza – Discriminazioni contro le donne, instabilità e una carestia a dir poco dilagante che si è abbattuta sull’Afghanistan in seguito al ritiro statunitense e internazionale, colpendo principalmente i più piccoli. E le 11enni senza scuola. Coi Talebani al potere il Paese vive un drastico ritorno al passato, dopo il ventennio della grande illusione occidentale.
Sono 220 ma destinati a diventare ancora di più. Il numero si riferisce ai giorni senza scuola per le adolescenti afgane dagli 11 anni di età. Si erano illuse che sarebbe presto arrivato anche il loro turno, dopo che all’inizio di febbraio il nuovo regime talebano aveva concesso la riapertura alle donne di alcune università, sia pubbliche che private. Una riapertura caratterizzata da una rigida separazione tra studenti e studentesse, neppure autorizzati a passeggiare all’interno dello stesso cortile.
Si tratta di un drastico ritorno al passato, svanito d’un colpo il ventennio della grande illusione occidentale, ma pur sempre un sospiro di sollievo per le giovani afghane che hanno temuto che il loro diritto allo studio venisse definitivamente bandito, come era accaduto tra il 1996 e il 2001, gli anni del primo regime talebano. Tuttavia, per oltre un milione di bambine evidentemente non è ancora giunto il momento di tornare in aula, così almeno ha deciso il Consiglio Supremo di Giurisprudenza, l’organo incaricato di stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato, sulla base naturalmente dell’approccio ultra-fondamentalista alla sharia tipico dei Talebani.
Proprio la sharia è stata tirata in ballo per giustificare la mancata riapertura, che dovrà attendere finché non verranno disegnate “uniformi adeguate” per le bambine. Ma 7 mesi di tempo non sono sufficienti a garantire un burqa per tutte le alunne? Oppure, l’intenzione reale è quella d’impedire gradualmente, rinvio su rinvio, che le adolescenti afghane possano proseguire e terminare il ciclo di studi propedeutico all’università o all’ingresso nel mondo del lavoro?
A parte gli studi di medicina (i dottori sono sempre utili e sul loro genere si può soprassedere), l’ideologia dei Talebani non prevede che le donne debbano né studiare, né lavorare. Pertanto, l’obiettivo potrebbe essere quello di consentire l’alfabetizzazione femminile, di per sé già una deroga rispetto ai canoni precedenti, stroncando però ogni velleità educativa alla fine del ciclo equivalente alle nostre scuole elementari. Così, non ci sarà nemmeno più bisogno di università per sole donne, destinate a un avvenire da spose bambine senza possibilità di fuga, dal momento che gli è stata (nuovamente) tolta anche la libertà di recarsi all’estero, se non accompagnate dalla famigerata figura del “tutore” maschio. In Afghanistan, di questo sono consapevoli, l’allarme è già stato sollevato e la cosiddetta comunità internazionale si prodiga in appelli e frasi di circostanza, che non sembrano condizionare in alcun modo il regime.
L’incaricato d’affari degli Stati Uniti per l’Afghanistan, Ian McCary, di stanza a Doha, si è detto “profondamente turbato” dalla decisione “molto deludente” dei Talebani, in contraddizione con dichiarazioni rilasciate in precedenza, in cui si prometteva un pronto ritorno delle bambine a scuola. Nell’ultimo caso, la data prospettata era subito dopo il 21 marzo, terminate le celebrazioni per il Nawruz, il capodanno afghano. Poi la marcia indietro e c’è da scommettere che dinamiche simili si ripeteranno frequentemente in futuro anche in ambiti diversi.
D’altra parte, che cosa c’era da aspettarsi dai Talebani? Non certo che fossero cambiati nella loro concezione dei diritti umani o che fossero divenuti interlocutori affidabili. E se un giorno venissero meno anche alla promessa di non consentire la preparazione su suolo afghano di nuovi attacchi terroristici diretti agli Stati Uniti dopo quelli dell’11 settembre? Forse, del supporto in termini di armamenti e forze speciali oggi assicurato al governo ucraino, sarebbe stato meglio che avessero continuato a beneficiare anche le forze di sicurezza afghane, nello stesso interesse americano.
Con Al Qaeda il legame non è stato troncato e non si può escludere che le ostilità in corso con la provincia del Khorasan del sedicente “stato islamico” (ISIS-K) possano un giorno tramutarsi in qualcos’altro, sgradito all’occidente dal punto di vista della sicurezza. Il mondo del “jihadismo” non è infatti nuovo a riconciliazioni o riallineamenti anche solo tattici.
Lo scenario attuale vede comunque i Talebani in balia degli stragisti dell’ISIS-K che imperversano nel paese e questa non è una buona notizia neppure per gli Stati Uniti, non soltanto per gli afghani che seguitano a morire in massa. La serie di attentati della scorsa settimana ha lasciato sul terreno almeno 77 morti, con oltre 160 feriti. La minoranza sciita degli hazara è stata al solito la più colpita, con due autobombe: una schiantatasi contro una moschea di Mazar-e Sharif e l’altra esplosa nei pressi di una scuola a Kabul. Vista la comune inimicizia di carattere settario verso gli sciiti, gli hazara hanno accusato i Talebani di chiudere un occhio nei confronti dell’ISIS-K, malgrado abbiano promesso di proteggere tutte le minoranze etniche e religiose. Il che può essere verosimile.
D’altro canto, la terza autobomba in una moschea sunnita a Konduz, successiva a un assalto sferrato nella medesima località a un autobus che trasportava meccanici diretti a una base militare, è chiaramente un attacco diretto ai Talebani volto a indebolirli. Il regime continua pertanto a dimostrarsi incerto nel garantire la sicurezza, al punto da spazientire perfino il vicino Pakistan, che dei Talebani è stato creatore e grande sostenitore, fino alla riconquista di Kabul nel fatidico agosto del 2021.
L’ultima scarica di terrorismo lanciata dall’ISIS-K è stata infatti preceduta da un raid aereo pachistano in una zona al confine all’interno dell’Afghanistan. Il bilancio è stato di almeno 5 bambini e una donna rimasti uccisi, naturalmente civili innocenti. D’obbligo la protesta diplomatica dei talebani, ma l’accusa d’Islamabad è stata quella di fare il doppio gioco con gruppi ostili che hanno trovato rifugio alla frontiera tra i due paesi, in particolare i militanti talebani di origine pakistana.
Discriminazioni contro le donne, instabilità e, infine, ma non ultima per importanza, la carestia a dir poco dilagante che si è abbattuta sul paese in seguito al ritiro statunitense e internazionale, colpendo principalmente i più piccoli. L’ONU dice che 13 milioni di bambini, due su tre, necessitano di salvavita, con un incremento di un terzo rispetto al 2021, mentre sono 14 mila i neonati morti di fame dall’inizio del 2022. Il pane su molte tavole è l’unico alimento e i genitori, spiega Save the Children sono esasperati al punto tale da ritirare i figli da scuola per farli lavorare o persino venderli, che per le bambine può significare essere costrette a contrarre matrimoni precoci. Forse è per questo che in fondo, ai Talebani, la catastrofe socio-economica va bene così com’è. Occidente, dove sei?