Di Maio non è Machiavelli

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Io ho un pregiudizio del quale non mi vergogno affatto: secondo me Di Maio non ha una personalità machiavellica; non ha la stoffa del calcolatore, dell’astuto, del cospiratore. Quanto meno non ha queste prerogative per propria struttura caratteriale. Ha, però, una sufficiente spregiudicatezza e sfacciataggine, abbondantemente condita da un narcisismo a volte ridicolo per manierismo e dandismo in una contemporanea assenza di spessore, che lo rende affidabile esecutore di ordini altrui. Basti pensare che, senza competenze e con zoppicante capacità dialettica, passa da Vicepresidente del Consiglio e ministro dello sviluppo economico e del lavoro nel primo governo Conte a ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale nel governo Conte II e in seguito nel governo Draghi. È la conferma del pensiero di Massimo Fini sulla democrazia, una modalità di governo che richiede la massima incompetenza per poter gestire al massimo la flessibilità delle persone. E lui è un esempio concreto di queste prerogative.

Per questo motivo non credo che la sua defezione dal Movimento 5S sia derivante da un personale scatto di orgoglio, ma piuttosto da una operazione equivoca di cui il Nostro è una coscienziosa pedina. Dietro a frasi del tipo “rinuncio al mio partito”, “essere europeisti e atlantisti non è una colpa”, “no all’odio, al populismo, ai sovranismi, agli estremismi” c’è puzza di centrismo, di una strategia i cui mandanti hanno ben chiara la trasformazione politica in corso e lui è utile al progetto, soprattutto seducendolo con una conferma elettorale.

Ragioniamo un attimo. La Lega è allo sbando sperando in una agonica sopravvivenza. Il Movimento 5S è in via di scomparsa per autolesionismo da tradimenti e menzogne rispetto al programma che è stato millantato alla sua nascita: per usare una metafora agricola, è passato dal verde al marcio senza una maturità intermedia. La Meloni regge per millantato credito di una destra che non esiste più se non, per sua stessa rivendicazione, atlantista, globalista e filo Nato. Il PD è un cadavere in buona salute dopo aver disonorato un glorioso seppur discutibile retaggio passando al più becero liberalcapitalismo.

Ecco che arriva uno, mandato da uno o più altri, a ricompattare gli sfigati elettorali. Si organizza una bella – si fa per dire – melassa centrista dove catturare con il metodo della pesca a strascico i disillusi di ogni razza e spudoratezza, ci si attrezza per la campagna elettorale, e si marcia “Insieme per il futuro” di inciuci, compromessi e intrighi di bottega. Con un buon risultato elettorale, per il bene della Nazione – parola magica per fottere il popolo – si fa un accordo con il PD e si conferma Draghi alla guida del disastrato Paese per la curatela fallimentare dello stesso.

Se l’excusatio non petita, accusatio manifesta, il passaggio di Mattarella da parte di Di Maio mi sa tanto di benedizione del progetto. Chissà che il Divo Giulio, nella sua sana sospettosità, non mi dia ragione. Staremo a vedere.

Di Adriano Segatori

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