Il M5S nato sull’onda di un novello populismo, decisamente rappresentante una nuova forma di sinistra, che avrebbe dovuto aprire il parlamento come una scatoletta di tonno, con il grido “onestà, onestà”, prerogativa questa non di un partito o di un movimento, ma prerequisito di ogni persona che voglia correttamente svolgere il delicato compito di rappresentanza dei cittadini, sta compiendo il suo canto del cigno con il tentativo di recuperare quella purezza e durezza, decisamente utopica, che gli aveva fatto conquistare una valanga di voti alle scorse elezioni. Diceva un mio vecchio amico democristiano molto acuto “cerchiamo di non essere troppo duri e puri, perché prima o poi troveremo qualcuno più puro che ci epura”.
Fermo restando che ogni comportamento deve avere, come prerequisito legittimità e correttezza, la politica è l’arte del compromesso e la coerenza, altro elemento importantissimo e che, sinceramente, sembra piuttosto raro, per essere efficace e realistica deve essere ragionevolmente tarata tra ciò che sia assolutamente imprescindibile, da cui non ci si può discostare qualsiasi sia la mediazione sul tavolo, e ciò su cui sia possibile la discussione e si possa fare qualche passo indietro o di lato senza che si possa ritenere il
comportamento moralmente riprovevole.
I grillini sono nati dicendo che non si sarebbero alleati con nessuno e poi hanno fatto il governo con chiunque, fino a raggiungere l’apoteosi con il Presidente Mario Draghi, il quale, evidentemente non abituato a dover sottostare ad ultimatum di chicchessia, dall’alto della propria personalità riconosciuta a livello internazionale, che piaccia o no, all’alert dato dal capo politico M5S Conte ha semplicemente risposto con le dimissioni, che vedremo se saranno definitive o meno, visto il lunghissimo (per questo momento politico) timing fino a mercoledì quando si presenterà alle Camere.
Ci vorrebbe la palla di vetro per prevedere cosa succederà veramente, mi limito a citare una vecchia storiella americana. Il Presidente appena eletto chiede al suo predecessore qualche consiglio, lui gli consegna tre buste dicendogli, se avrai dei momenti di crisi aprile in sequenza temporale. Verificatasi, poi, la prima crisi aprì la prima busta e c’era scritto “dai la colpa a me”, alla seconda crisi aprì la seconda busta e c’era scritto “dai la colpa al Parlamento”, alla terza aprì l’ultima busta e c’era scritto “prepara tre buste”.
Storielle a parte, in effetti andare a votare subito sembra di certo la scelta più coerente, in quanto il reale problema del nostro Paese è l’attuale Parlamento, non più corrispondente al consenso attuale dei cittadini e, nella sua composizione numerica, a quanto previsto dall’ultima riforma di riduzione dei parlamentari.
Inoltre bisogna considerare che, se non si voterà tra ottobre e novembre, la possibile crescita dei contagi nel periodo invernale potrebbe dare la scusa a chi volesse prolungare la legislatura di arrivare all’estate o addirittura all’autunno del 2023, il che consentirebbe al Governo in carica una miriade di importanti nomine in scadenza prima di quelle date.
Ma sembra che siano in pochi a volere veramente le urne immediate. Certamente no il M5S che, alle prese con le proprie beghe interne e divisioni, nonché toccato nei propri principi fondamentali dalle scelte governiste, ha necessità, per sopravvivere, di tempo per tentare di recuperare quella purezza e durezza di cui dicevo prima, ma neppure il PD che, conscio della propria attuale consistenza elettorale e della obiettiva impossibilità, allo stato, di quel campo largo voluto da Letta, ha tutto l’interesse a prolungare il più possibile la propria permanenza al Governo.
Nel centro destra Forza Italia ha simili interessi vista la necessità di rafforzarsi il più possibile, considerato che i sondaggi la danno costantemente come terza forza della coalizione ma con lievi rialzi, la Lega deve mettere meglio a punto la propria strategia, visto che la presenza al Governo la sta danneggiando nei consensi e, se si andasse a votare a seguito dell’impuntatura di Conte, non potrebbe nemmeno giocarsi con il suo elettorato l’aver determinato la caduta di Draghi (non particolarmente gradito alla sua base, come risulterebbe dai sondaggi Ghisleri che hanno registrato anche un calo di consensi nei confronti dell’attuale Presidente del Consiglio).
L’unica a non avere alcun dubbio sull’andare subito al voto, anche per capitalizzare il consenso giorno dopo giorno guadagnato dalle sue posizioni obiettivamente sempre coerenti, è Giorgia Meloni, che dal suo ruolo di unica opposizione non ha oltretutto alcun interesse a procrastinare questa situazione di agonia.
Vedremo gli sviluppi, ma non mi stancherò mai di dire che il nostro Paese, dopo la stagione del populismo più spinto ed obiettivamente inconcludente, se non dannoso, ha bisogno assoluto di una guida con forti radici nella cultura cattolica e popolare, liberale ed identitaria, insomma conservatrice, che abbia ben chiara la centralità della persona e della vita, del ruolo fondamentale della famiglia, che supporti realmente il nostro tessuto imprenditoriale e produttivo e che, certamente, non vada nella direzione della disgregazione di detti valori con droghe libere e giovani stravaccati sui divani a percepire il reddito di cittadinanza.