UNA GIOVENTÙ DA RECUPERARE- Lo studio del cervello dei bambini, tra i 9 e i 13 anni, effettuato dalla Standford University ha constatato un invecchiamento precoce di tre anni delle strutture neuronali. Sarebbe questo l’effetto del lockdown, e più precisamente di tutte le equivoche precauzioni poste in essere durante l’altrettanto equivoca pandemia.
Alterazioni cerebrali precedute – o meglio, causate – da un impatto emotivo e conseguenti disturbi psicologici ampiamente documentati dagli psicologi attivi in questi ultimi due anni di
lavoro sul campo.
I bambini hanno un cervello in continua evoluzione, con un progressivo apprendimento che va ben oltre alla semplice acquisizione meccanica di informazioni concrete, ma che si estende a quel campo tanto variegato quanto poco considerato in questa contemporaneità che è quello delle emozioni. Tanto che lo psicologo Peter Fonagy e la psicoanalista Mary Target hanno addirittura segnalato la potenzialità del bambino di “leggere nella mente delle persone”. Niente di magico, in tutto ciò, semplicemente una competenza emotiva più sofisticata e percettiva di quella degli adulti.
Questa sofisticata capacità psichica per svilupparsi e affinarsi deve poter usufruire di alcune condizioni ambientali e personali che sono state letteralmente azzerate durante il periodo pandemico.
Innanzitutto, la relazione scolastica. Il rapporto con i propri simili è fondamentale nel processo autoriflessione, di elaborazione del pensiero e di confronto comportamentale tra i pari. È il primo passo della socializzazione, che avviene attraverso il contatto fisico e visivo diretto, nonché con lo scambio di oggetti e di emozioni. Questo è il primo dispositivo negato nel lockdown.
Il secondo, di conseguenza e a cascata, è stato il distanziamento nei luoghi pubblici fino al restringimento domestico, con il risultante esito di venir meno anche l’esperienza di autonomia, di libertà e di determinazione nelle relazioni sociali più ampie e diversificate nel mondo degli adulti.
Poi, l’obbligo della mascherina. Con questa imposizione veniva impedita la prima reciprocità comunicativa tra le persone. È la mimica, l’espressione del volto che è stata camuffata dall’attrezzo sedicente sanitario, quindi con un deficit di apprendimento delle emozioni basilari ed immediate.
A concludere questo incompleto elenco c’è stato l’isolamento domiciliare. Una chiusura che ha determinato le più disparate e contraddittorie espressioni cliniche: dalla bulimia all’anoressia, dalla claustrofobia all’agorafobia, dalla depressione all’euforia parossistica, dalla dipendenza digitale all’introversione simil-autistica, fino alle più “banali” esperienze di ansia e di panico.
E’ questa una gioventù da recuperare sia dal punto di vista organico che da quello psicologico, affinché possa elaborare la paura alla quale è stata sottoposta e, magari, attraverso questa esperienza, ad affrontare con migliori qualità le altre incerte prove della vita.
Psichiatra-psicoterapeuta, membro della sezione scientifica “Psicologia Giuridica e Psichiatria Forense” dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi, dottore di ricerca in Filosofia delle scienze sociali e comunicazione simbolica (Università dell’Insubria – Varese), cultore della materia in Filosofia della politica presso l’Università degli Studi di Trieste. Autore di numerosi articoli e saggi di politica, filosofia e analisi sociale.