Nel silenzio assordante dei media europei, la tensione nel Donbass sale alle stelle. In piena pandemia si riaccendono i combattimenti nella regione orientale dell’Ucraina al confine con la Russia.
Lo scorso venerdì raffiche di mitragliatrici e colpi di mortaio hanno rotto la tranquilla nella località di Choumy, a nord est di Donetsk. Fonti della Stato Maggiore di Kiev hanno dichiarato che durante l’attacco i separatisti filo-russi hanno ucciso quattro soldati ucraini ferendone altri due.
Questo è l’incidente più grave dalla dichiarazione di tregua della passata estate. Da febbraio, infatti, i conflitti isolati si sono moltiplicati in maniera esponenziale e ad oggi si contano almeno 20 vittime tra le file ucraine.
La guerra dell’Ucraina orientale o guerra del Donbass, inizialmente indicata come rivolta (o crisi) dell’Ucraina orientale, è un conflitto in corso che ha avuto inizio il 6 aprile 2014. Da allora negli scontri tra i separatisti filo-russi, che hanno dichiarato una presunta indipendenza di questa regione orientale, e le forze regolari di Kiev sono rimaste uccise più di 13.000 persone.
Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, teme un’escalation militare e chiede espressamente l’intervento della comunità internazionale.
Il ministro degli esteri ucraino, Dmitro Kuleba, ha affermato che “… la pace e la vita umana sono i valori fondamentali della stato ucraino …” e che le azioni della Russia hanno posto la soluzione alla crisi del Donbass in un vicolo cieco in quanto la diplomazia era l’unica via d’uscita”.
Ma la diplomazia è decisamente in ritardo e fino ad ora sono state più le prese di posizione in entrambi i fronti che una reale volontà di porre un freno alla probabile escalation militare.
In febbraio il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, ha puntualizzato che la Russia avrebbe rafforzato la sua presenza nel mar Nero. Di pari passo navi dei paesi Nato hanno cominciato a confluire verso i porti dell’Ucraina, in particolare a Odessa.
All’inizio di marzo, il Pentagono ha reso noto che gli Usa avrebbero stanziato ulteriori 125 milioni di dollari per provvedere all’addestramento dei militari ucraini oltre che fornire le attrezzature e il supporto necessario per garantire la sicurezza dell’Ucraina. Altri 150 milioni di dollari, approvati dal Congresso degli Stati Uniti, sarebbero confluiti in Ucraina nell’arco del 2021, dopo che il Pentagono avrà confermato i progressi del paese nelle riforme chiave della difesa.
Il presidente ucraino, Vladimir Zelensky, ha intanto approvato la “Strategia di sicurezza militare”, un documento in cui la Russia è descritta come un “avversario militare” e si conferma la piena adesione alla Nato.
Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha poi affermato in una recente intervista che i tentativi da parte dell’Occidente di iniziare una nuova guerra nella regione ucraina del Donbass non faranno che peggiorare le cose e porteranno alla distruzione del paese.
Nel frattempo, i “battibecchi” tra Mosca e Washington sono proseguiti sfociando in una clamorosa dichiarazione da parte del presidente Joe Biden che ha definito Putin un assassino “… e ne pagherà il prezzo …”, in quanto ha interferito sulle ultime elezioni statunitensi. Inoltre, Sergey Lavrov ha riportato che Joe Biden, già da molti anni prima che si insediasse alla Casa Bianca, non ha esitato a proporre sanzioni alla Russia, a usare una retorica dura nei suoi confronti e facendo pressione in ogni settore.
In realtà gli Stati Uniti hanno anche denunciato le violazioni dei diritti umani da parte di delegati russi in Ucraina. Il 30 marzo, il Dipartimento di Stato americano ha pubblicato un rapporto che condanna le violazioni dei diritti umani su larga scala in Russia. Nello specifico, il rapporto faceva riferimento alla privazione della libertà di parola, alle torture, alle sparizioni, ai prigionieri politici, alle violazioni da parte della Russia e dei suoi delegati nel Donpass, in Crimea e in Ucraina, oltre gravi abusi in Cecenia.
Nel frattempo l’ambasciatore russo a Washington è stato richiamato a Mosca per consultazioni.
Il ministro degli esteri russo prosegue dicendo che Mosca intende comunque rilanciare le sue relazioni con l’Unione Europea e che non ha nessuna intenzione, a causa della crisi diplomatica in corso, di interrompere l’approvvigionamento energetico che dalla Russia arriva in Europa, pur non approvando il suo totale appoggio alla politica estera degli Stati Uniti. Piuttosto, Mosca mira a non dividere l’Unione Europea ma vorrebbe che fosse più forte e indipendente, soprattutto dall’influenza degli Stati Uniti.
Ma se la politica estera degli Usa e dell’Ue ha l’obiettivo di aprire verso i paesi dell’Asia Centrale, deve tenere a mente che il volume degli accordi economici che si raggiungeranno non potrà mai competere con quello che la Russia ha finora stabilito con questi stessi paesi.
Intanto, la situazione si sta velocemente spostando verso una prova di forza militare.
È notizia di questi giorni che la Russia stia mobilitando mezzi e truppe verso il confine ucraino, confermata anche dal Capo di Stato Maggiore ucraino, Ruslan Homçak.
Il portavoce del Cremlino, Dmitriy Peskov, ha dichiarato che la Russia spostato le forze armate all’interno del suo territorio a propria discrezione e che ciò non rappresentava una minaccia per nessuno.
Intanto, oggi il comando Usa in Europa ha alzato il livello di allerta e messo in guardia le proprie ambasciate e consolati in Germania. Si è poi sparsa la notizia di una presunta e imminente riunione d’emergenza della Nato.