Francia: i ghetti, arma per i rivali della Francia (e dell’Europa)

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Francia. Ghetti francesi, un’arma per i rivali della Francia (e dell’Europa) –  Narco-banditismo, separatismo islamista e territori perduti sono dei termini ancora semi-sconosciuti in Italia, dove non v’è piena consapevolezza della situazione cataclismica in cui versa una parte significativa delle periferie francesi. Sembrano lontani i tempi del grande risveglio delle banlieue del 2005 – terminato con quasi 3mila arresti, 126 poliziotti feriti, 3 morti, 8mila veicoli dati alle fiamme e più di 300 città coinvolte – anche se, in realtà, non lo sono affatto: micro-rivolte, roghi e assalti antipolizieschi sono la quotidianità nei quartieri dimenticati dall’Eliseo.

Quartieri che, in alcuni casi, sono de iure francesi, ma de facto controllati da gruppi del crimine organizzato o infiltrati pesantemente dall’islam radicale. Quartieri in cui non si entra, perché ad accesso limitato o vietato, e dove lo sconfinamento può costare la morte – come ricorda la sparatoria di Carpentrasso del 5 maggio. Quartieri che, dominati dall’”islamismo e [dal]le orde delle banlieue”, possono essere considerati a tutti gli effetti dei vasi traboccanti pronti a mettere alla prova la resistenza della République con una travolgente onda tsunamica.

Quartieri che, secondo i firmatari della lettera aperta del 21 aprile, sono aperti al rischio di essere “sottomessi a dei dogmi contrari alla costituzione” e nei quali potrebbe verificarsi la temuta “esplosione” che costringerebbe le forze armate ad imbarcarsi “in una perigliosa missione di protezione dei nostri valori civilizzazionali e di salvaguardia dei nostri compatrioti sul territorio nazionale”. Quartieri che, e questa non è fantapolitica, sono suscettibili di essere impiegati come un’arma per destabilizzare la Francia sia dall’internazionale jihadista sia da attori statuali come la Turchia.

Ottobre 2020, un mese da non dimenticare

Francia, 2 ottobre 2020: Emmanuel Macron, annunciando al pubblico l’intenzione di “nazionalizzare” l’islam francese attraverso una legislazione ad hoc concepita per riformarlo in senso laico e repubblicano, nonché basata su una stretta nei riguardi di luoghi di radicalizzazione e imam estremisti, mette in moto un’inaspettata sequela di sanguinosi eventi che, entro la fine del mese, avrebbe condotto alla decapitazione di un professore alle porte di Parigi, all’uccisione di tre persone a Nizza e a tre falliti attentati ad Avignone, Lione e Sartrouville.

A fare da contorno alla surreale e imprevedibile risposta muscolare dei soldati jihadisti al sogno macroniano di un islam forzatamente sottomesso alla République, un attentato contro il consolato francese di Gedda (Arabia Saudita), una campagna di boicottaggio dei prodotti Made in France estesa dal Marocco al Kuwait e lo scoppio di ampie e talvolta violente proteste antifrancesi in gran parte del mondo musulmano, dalla Libia al Bangladesh.

Macron, dinanzi al risveglio delle cellule dormienti, alle periferie in fermento e all’umma offesa e agguerrita, avrebbe optato per la scelta più azzardata: dare ufficiosamente semaforo verde all’entrata in scena di Charlie Hebdo, benedicendo la pubblicazione di vignette satirico-offensive indirizzate al grande fomentatore dell’ondata di livore francofobico in Europa e all’estero, Recep Tayyip Erdogan, e la proiezione su alcuni edifici di immagini ritraenti Maometto della stessa natura, firmate dalla stessa rivista.

Nella consapevolezza del potenziale cataclismico della strumentalizzazione del profeta dell’islam, sperimentato direttamente dalla redazione di Charlie Hebdo il 7 gennaio 2015, nonché dell’aria di piombo pervadente i ghetti e della diffusione di squadroni turco-azerbaigiani impegnati in perigliose “cacce all’armeno” – la seconda guerra del Nagorno Karabakh era in pieno svolgimento –, l’inquilino dell’Eliseo avrebbe deciso di utilizzare la concomitante pandemia come scusante per proclamare una serrata generale (e salvavita) nella giornata del 30 ottobre, ponendo fine ad un mese tanto teso quanto utile. Teso a causa delle proteste e del terrorismo, utile nella maniera in cui ha aperto agli occhi a Parigi sulla ramificazione di malevoli presenze esterne in quelle aree fuori dal controllo delle autorità.

L’ombra della Turchia

Tre sono stati i grandi protagonisti dell’ottobre di terrore che ha riportato la paura e il sangue lungo le strade d’Oltralpe: Macron, l’indefesso sostenitore di una riforma dell’islam francese, l’internazionale jihadista, che ha svegliato dal sonno i propri soldati, e la Turchia, i cui politici hanno cavalcato e strumentalizzato con maestria l’indignazione dei musulmani di tutto il mondo, i cui media hanno coperto spasmodicamente l’evolvere degli eventi e i cui agenti in Francia hanno operato con altrettanta solerzia per esagitare gli animi sia in loco sia all’estero.

Non è una coincidenza, alla luce dei punti di cui sopra, che turchi siano stati i principali bersagli del paragrafo ottobrino della lotta al separatismo islamista della presidenza Macron – come l’organizzazione nongovernativa Barakacity, legata ai Fratelli Musulmani – e dell’attività satirico-offensiva della rivista Charlie Hebdo – il presidente Erdogan –; l’Eliseo, con quei gesti, ha voluto inviare un messaggio eloquente ad Ankara: stop all’avvampamento delle nostre periferie o fine dei giochi, ergo espulsione degli imam sul libropaga turco e chiusura di tutti quei luoghi in qualche modo legati alla Sublime Porta.

Oggi, a distanza di sette mesi da quell’ottobre da incubo, per le strade francesi vige nuovamente la calma, nonostante i periodici mini-attentati di stampo islamista – che, oramai, sono una parte della quotidianità d’Oltralpe –, ma la storia recente ha mostrato come basti relativamente poco affinché il fuoco divampi dai remoti territori perduti (territoires perdus) ai centri vivi delle grandi città; da qui la necessità di una disamina numerica del peso del “fattore turco” all’interno dello scenario di guerra civile denunciato dalle forze armate.

I numeri della presenza turca in Francia

Un’illustrazione delle cifre relative all’impronta della Turchia nelle comunità islamica e islamista di Francia è più che necessaria, è fondamentale, al fine della comprensione del ruolo che può e potrebbe giocare nell’incitare le masse alla rivolta:

  • 38 gli anni di esistenza ed operatività dei Fratelli Musulmani in Francia, ivi approdati nel lontano 1983;
  • 200 le associazioni, 147 le moschee e 18 le scuole coraniche gestite in tutta la nazione dai Fratelli Musulmani;
  • 50mila i membri ufficiali dei Fratelli Musulmani in loco;
  • Più di 30 gli anni di attività di Millî Görüş, sbarcata in Francia nel corso degli anni ’70;
  • 300 le associazioni, 71 le moschee e 10 le scuole coraniche gestite in tutta la nazione da Millî Görüş;
  • Circa 2.500 i seguaci di Millî Görüş in loco;
  • 250 le associazioni connesse al Direttorato degli affari religiosi (Diyanet);
  • Dei 290 imam stranieri operanti sul territorio, 140 provengono e sono retribuiti da Ankara – seguono Algeri (120) e Rabat (30);
  • Uno è il partito di ispirazione islamista, Parti Égalité et Justice, fondato nel 2017, di cui si presumono legami con la Turchia;
  • 2.600 le moschee attive e regolarmente censite a livello nazionale, delle quali almeno 300-400 direttamente collegate alla Turchia;
  • Certificata la presenza dei Lupi grigi, dichiarati fuorilegge lo scorso novembre, che si rendono periodicamente protagonisti di azioni punitive contro membri delle comunità armena e curda.
  • Fra i 400mila e i 600mila i membri della diaspora turca residenti in Francia;

Il pericolo del fattore turco

La Turchia potrebbe, alla luce di suddetti numeri, contribuire all’esplosione della polveriera francese? Sì. Secondo il politologo Samim Akgönül, è possibile osservare “un attivismo senza precedenti delle reti originarie della Turchia”, la cui “influenza reale è in crescita”. Del medesimo parere è il giornalista Mohamed Sifaoui, autore di un’inchiesta sull’infiltrazione turca nella realtà musulmana transalpina, secondo il quale starebbero approssimandosi la trasformazione della diaspora turca in un “cavallo di Troia” e delle reti di associazioni e ong legate ad Ankara in agenti del cambiamento funzionali alla promozione e all’accettazione sociale dell’islam turco. È stato lo stesso Macron, del resto, a parlare recentemente della concretezza del rischio di interferenze nei prossimi appuntamenti elettorali da parte della Turchia.

Non è da trascurare, infine, che, a parte l’influenza esercitata nella realtà islamica nazionale, la Sublime Porta può trarre vantaggio dal potente eco dei media internazionali, come Daily Sabah e Al Jazeera, fare leva sulla folta diaspora per formare un incisivo blocco elettorale e sfruttare gli agenti provocatori in loco, come Lupi grigi e cellule del MIT (Millî İstihbarat Teşkilâtı), attivabili per neutralizzare obiettivi antigovernativi, ma anche per incitare gli abitanti delle banlieue alla rivolta.

È in questo contesto altamente esplosivo, più geopolitico ed internazionale che squisitamente religioso e domestico, che va inquadrata la legge sul separatismo islamista, che, se implementata come concepita, potrebbe e dovrebbe aiutare l’Eliseo ad allontanare lo spettro di stagioni insurrezionali trainate ed eteroguidate dall’esterno, riducendo l’astro proiettato dalla Sublime Porta (e da altre potenze) sui musulmani di Francia.

Contrastare la Turchia, ad ogni modo, più che una panacea è un palliativo: il problema va risolto a monte, ovvero è necessario ripensare il fallimentare modello d’integrazione assimilazionista che ha condotto la società francese all’attuale parcellizzazione in blocchi non comunicanti e separati da porte idrofughe, perché altrimenti si chiuderebbero le porte ad un attore per spianarle ad un altro. In sintesi, la Turchia va, sì, espulsa dall’umma transalpina, senza dimenticare né sottovalutare l’impronta delle petromonarchie wahhabite, ma al tempo stesso vanno recuperati i territori perduti e protette le zone urbane sensibili, combattendo il narco-banditismo e, soprattutto, integrando realmente i figli dell’ex impero coloniale.

Insideover

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