Siria, presto le elezioni presidenziali: per la prima volta sette donne candidate

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elezioni Siria

Mercoledì 26 maggio si terranno le elezioni presidenziali in Siria. Le seconde da quando è iniziata la sanguinosa guerra civile nel 2011.

I candidati alle elezioni in Siria sono almeno 51, tra cui per la prima volta 7 donne. Per legge sono personaggi che hanno vissuto in Siria negli ultimi dieci anni (quindi niente oppositori in esilio) e godono del sostegno di almeno 35 su 250 parlamentari, i quali appartengono per la maggioranza al partito Baath, il cui capo è ovviamente Bashar al-Assad.

È trapelato che la prima candidata si chiama Faten Ali Nahar, ha 50 anni ed è di Damasco. Purtroppo sono pochissime le informazioni su di lei.

Sfiderà il presidente, che corre per il quarto mandato ed è praticamente certo che vincerà. Perciò, nonostante la novità delle candidate, Francia, Stati Uniti e Regno Unito, che siedono nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, hanno già definito “farsa” queste elezioni e dunque non le riconoscono. Lo ha detto per Parigi l’ambasciatore Nicolas de Rivière, per Washington l’ambasciatrice Linda Thomas-Greenfield (che ha usato proprio la parola “farsa”, sottolineando che in Siria non c’è una nuova Costituzione) e per Londra l’ambasciatrice Sonia Farrey (che ha parlato di “disprezzo per il popolo siriano”).

Ovviamente di avviso contrario sono gli alleati di Assad, Cina, Iran, Venezuela, Cuba e Russia. L’ambasciatore di quest’ultima, Vassily Nebenzia, ha bollato come “inammissibili interferenze negli affari interni” siriani i pareri dei Paesi citati.

Certo che chiunque diventi il prossimo presidente in Siria (anche se in tutta sincerità lo sappiamo anche noi), avrà ancora a che fare con un conflitto che è uno degli esempi più lampanti insieme a quello in corso in Yemen del fallimento della cosiddetta Primavera araba (tanto più che Assad è ancora al potere). Un conflitto in cui, come sempre, le donne sono tra le principali vittime, con stupri di massa (non solo da parte dell’Isis) e matrimoni precoci.

Inoltre c’è ancora l’emergenza COVID-19, in particolare nel nord-est del Paese, sottolinea “Un Ponte per”, che lavora con la “Mezza Luna Rossa”. Denuncia “tamponi e mascherine insufficienti, ospedali inadeguati, mancanza di ossigeno e di terapie essenziali”.

Di Alessandra Boga

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