Afghanistan: intervista al portavoce dei talebani «Noi non perdiamo mai»

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Afghanistan – Il negoziatore: «Controlliamo il 70% del territorio. Con il ritiro per le forze governative sarà peggio». E sull’Isis: protetto da Kabul ma non ha futuro

I talebani sentono di aver già vinto. Al ritiro internazionale dell’11 settembre daranno la spallata militare decisiva e intanto si preparano al «dopo». Quando saranno padroni di Kabul dovranno convincere la comunità internazionale a non andarsene. Senza assistenza negli ospedali, senza quei pochi o tanti progetti umanitari che assorbono disoccupazione e danno una speranza di futuro, controllare un Paese drogato da venti anni di sussidi sarebbe più difficile. Anche per il loro pugno di ferro. E allora provano, dopo tanti anni, a uscire dal ruolo dei mostri nel quale si erano acquattati comodi, lasciando che attentati e lapidazioni parlassero per loro. Ora no. Una delle poche voci del movimento talebano ha accettato via WhatsApp questa intervista con il Corriere per dire al mondo che il redivivo Emirato vuole la pace e non dipende da oppio e taglieggiamenti. Ma dice anche che l’Afghanistan tornerà indietro di 20 anni, all’idea talebana di Islam e di «tradizione». È vero, oggi ci sono computer e internet che prima non c’erano, «ma non è un problema, ormai sono diventati indispensabili». Oggi le donne studiano e lavorano e «continueranno a farlo nel rispetto della tradizione» (il che vuol dire burqa, ma anche chissà che altro). In meno, rispetto a 20 anni fa, i talebani hanno Osama Bin Laden, il leader di Al Qaeda, l’ospite per il quale tutto è cominciato. Come allora, però, anche questi nuovi talebani col telefonino sarebbero disposti a difenderlo.

Dottor Mohamed Naim, quanta parte di Afghanistan controllate?

«Circa il 70 per cento, praticamente tutte le campagne. Non sono vanterie, ma stime indipendenti».

Perché non riuscite a prendere le città?

«Sarebbe facile se solo volessimo. Questa amministrazione non ha radici tra la gente, è corrotta, inefficiente. È stata imposta sul Paese dall’estero con soldi e violenza».

Aspettate l’11 settembre, quando le forze governative avranno meno o nessun supporto aereo?

«Migliaia di soldati sono morti nonostante la protezione aerea. Certo le cose peggioreranno per loro».

Nella vostra avanzata del 1996, non usavate uomini-bomba, ora sì eppure l’Islam non consente il suicidio.

«Suicidio è scappare dai dolori del mondo e ciò è vietato. Diverso è combattere sapendo di dover sacrificare la vita per i propri ideali».

Cosa dite ai Paesi vicini che potrebbero ospitare una base aerea americana?

«Di imparare dal passato: gli afghani hanno sempre sconfitto chi li aggrediva. E poi di aver compassione: ci aiutino a difendere l’indipendenza che chiunque desidera per il proprio Paese».

Come vi finanziate?

«Attraverso l’elemosina islamica (Zakat) e la decima sui raccolti (Usher). In alcune province controlliamo anche le dogane e alcuni mercanti ci aiutano. I nostri mujaheddin, però, hanno bisogni semplici, non sono corrotti come i funzionari del governo di Kabul».

Perché tanti talebani si sono uniti all’Isis, lo Stato Islamico? E perché attaccano gli hazara?

«L’Isis non ha futuro in Afghanistan. I loro leader sono protetti da funzionari del governo e da alcuni parlamentari. Se ne andranno presto».

E voi come vi comporterete con gli hazara? Sono sciiti e voi sunniti.

«Abbiamo vissuto assieme per secoli. I diritti di tutti saranno protetti».

Anche quelli delle donne?

«L’Islam garantisce alle donne il diritto di studio e lavoro. Naturalmente alla luce delle tradizioni afghane».

Nell’Emirato finito nel 2001, era vietata la tv e la radio trasmetteva solo preghiere. Oggi c’è Internet, i telefonini.

«Non ci saranno problemi. Sono diventati una necessità quotidiana».

Avete garantito protezione alle Ong. Perché?

«Gli afghani bruciano nel fuoco della guerra dal 1979. Hanno bisogno di tutto l’aiuto possibile. Diamo il benvenuto a chiunque lavori per il bene della gente».

Se nel 2001 aveste consegnato Osama Bin Laden, sareste ancora al governo senza 20 anni di guerra. Pentiti?

«Avevamo chiesto le prove delle sue colpe per consegnarlo secondo i principi dell’Islam. Ma allora nessuno rispose e parlò solo la forza. Noi afghani, però, non ci arrendiamo e mai, mai, abbiamo perso contro un invasore».

CorrieredellaSera

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