Boss della mafia turca inguaia Erdogan: “Ecco come lavoravo per lui”

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Dopo aver piazzato suoi uomini di fiducia a capo di tutte le istituzioni dal paese, dall’esercito alla magistratura passando per università e giornali, grazie alle epurazioni conseguenti il fallito colpo di stato del 2016, il presidente turco Racip Tayyip Erdogan non si aspettava certamente di veder messa in discussione la sua immagine da parte di uno Youtuber. Eppure è proprio quello che sta accadendo queste settimane in Turchia. Il grande accusatore del sistema di potere si chiama Sedat Peker e non si tratta di uno sconosciuto nerd o di qualche blogger eterodiretto ma del più famoso boss della mafia turca. Peker conosce bene gli scheletri nell’armadio della classe dirigente turca perché per anni è stato una preziosa risorsa al servizio del partito di governo AKP per fare il ‘lavoro sporco’ in cambio di soldi e impunità nei suoi traffici illegali.

Ascesa e declino ‘politico’ del boss della mafia turca

Sedat Peker balza agli onori delle cronache nazionali durante gli anni Novanta a causa di un vasto scandalo emerso in seguito alla rivelazione di una collaborazione tra agenzie di intelligence e malavita per compiere omicidi politici. Dopo aver trascorso svariati anni tra latitanza e carcere per una serie di reati che va dall’estorsione all’omicidio, a partire dal 2014 Peker comincia ad avvicinarsi sempre più agli ambienti governativi. Politicamente schierato su posizione nazionaliste, diviene sostenitore dell’AKP ed è invitato agli eventi più importanti del partito, dove si intrattiene con i massimi dirigenti tra i quali anche il presidente Erdogan. Riceve inoltre un premio come uomo d’affari particolarmente attivo nella beneficenza e viene nominato ‘Cancelliere della Turchia nel mondo’. Contemporaneamente minaccia e fa aggredire associazioni, giornalisti e politici che si oppongono all’ascesa istituzionale dell’AKP. Ma la collaborazione non si limita a questo. Dal 2015 al 2018 da supporto economico e logistico per l’invio di aiuti ed armi alle formazioni terroristiche sostenute dal governo turco nella guerra contro il legittimo governo siriano.

Poi qualcosa cambia. Nel 2020 Peker viene avvertito che sono in corso indagini contro di lui e decide di lasciare il paese per trasferirsi a Dubai, capitale degli Emirati Arabi Uniti. Nell’aprile 2021 una vasta operazione di polizia porta alla confisca di molte sue proprietà ed all’arresto di decine di collaboratori. Così a partire da maggio comincia la pubblicazione di lunghe video interviste nelle quali racconta in modo molto particolareggiato i retroscena dei suoi accordi con gli ex-amici dell’AKP, dai quali si considera tradito, e i numerosi crimini dei quali si sarebbero macchiate alcune delle più importanti figure politiche del paese.

Omicidi e narcotraffico: la mafia turca al servizio del partito di Erdogan

Il principale destinatario delle accuse dell’(ex)boss è il ministro dell’Interno Suleyman Soylu, considerato come uno dei politici più potenti del paese e candidato alla successione di Erdogan. Nei suoi video di denuncia Peker afferma di aver collaborato con Soylu per risolvere in modo illegale molte controversie che coinvolgevano il partito AKP e in particolare la corrente del ministro. Racconta ad esempio di aver fatto sequestrare e picchiare all’interno di una stazione di polizia un parlamentare che avrebbe offeso la famiglia di Erdogan.

Rivelazioni molto pesanti anche sul conto di un altro pezzo grosso della politica turca, Mehmet Agar, ex ministro della Giustizia e dell’Interno considerato tuttora come un uomo molto vicino ad Erdogan, e suo figlio Tolga, attuale parlamentare dell’AKP. L’ex-ministro sarebbe stato al vertice negli anni Novanta di un’organizzazione criminale responsabile dell’omicidio di alcuni giornalisti oltre a vari reati come estorsioni e traffico di droga. Il figlio Tolga avrebbe stuprato e ucciso nel 2019 la giovane giornalista kazaka Yeldana Kaharman riuscendo, con l’aiuto del padre, a far passare l’omicidio per un suicidio.

Anche il figlio del presidente Erdogan viene accusato di aver organizzato, insieme al figlio dell’ex-primo ministro Binali Yildirim, una vasta rete di narcotraffico internazionale che contrabbanda cocaina dal Venezuela verso l’Europa passando per Cipro.

Boom di popolarità sui social e la risposta di Ankara

Ad oggi i nove video pubblicati da Sedat Peker, che ne ha promessi 12, hanno già superato la cifra record di 90 milioni di visualizzazioni su Youtube e il suo canale conta oltre 1 milione di iscritti. ‘Sedat Peker vs AKP’ è diventato il programma televisivo più votato al mondo su Internet Movie Database fino a quando la voce non è stata rimossa. L’enorme popolarità della vicenda ha portato il dibattitto dai social fino in parlamento, con l’opposizione all’attacco dei politici coinvolti.

“Mi colpisce soprattutto il fatto che i turchi gli pongono domande a cui normalmente dovevano rispondere lo Stato o la magistratura. Gli chiedono dell’assassinio del giornalista investigativo Ugur Mumcu o se sa qualcosa del fallito golpe del 15 luglio. Il pubblico invece pone queste domande a un criminale perché non ottiene risposte da altre fonti”, spiega Can Selcuki, direttore di un sito web di analisi socio-economiche.

Tutte le persone coinvolte respingono fermamente le accuse e ad oggi nessuna inchiesta è stata ufficialmente aperta. Tuttavia, vista la turbolenza della recente storia politica turca, secondo alcuni sondaggi la maggior parte della popolazione crede a quanto raccontato da Peker. Complice probabilmente anche il netto calo di consensi del ‘sultano’ Erdogan, dovuto ad una cattiva gestione dell’emergenza Covid ma soprattutto alla grave crisi monetaria che sta causando un’inflazione a livelli record, la più grave in un paese industrializzato dai tempi del default argentino nel 2001. In meno di tre anni sono già cambiati quattro governatori della Banca Centrale, con una situazione economica che continua costantemente a peggiorare.

Nonostante ciò il controllo di Erdogan sulle istituzioni nazionali è ancora saldo e al momento non ci sono movimenti di opposizione popolare così organizzati da poterlo impensierire. Sedat Peker lancia però la sua sfida con un appello ai giovani: “Miei preziosi fratelli, miei fratelli sotto i 40 anni. Dovreste creare un nuovo mondo, un nuovo paese. Un paese ha bisogno dei suoi 84 milioni di persone per essere unito. Ci sono giorni a venire che saranno preoccupanti. Ci faranno lottare tra di noi. Dobbiamo unirci”. Intanto l’ufficio del Procuratore capo di Ankara ha emesso un nuovo mandato di cattura per Sedat Peker, accusandolo tra le altre cose anche di aver sostenuto il tentato golpe del 2016.

Lorenzo Berti per Il Primato Nazionale

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