Mentre in Italia si continua a cercare il povero corpo di Saman Abbas, che non sottostava all’idea di un matrimonio forzato in Pakistan, proprio da lì arriva una notizia sconcertante. Dichiarazioni sugli stupri rese pochi giorni fa nientemeno che dal primo ministro Imran Khan, in passato celeberrimo giocatore di cricket, stanno suscitando polemiche interne ed esterne al Paese.
Intervistato da un giornalista australiano, Jonathan Swan, per una serie di documentari dell’emittente televisiva HBO (finita al centro delle polemiche nell’estate del 2020 per la rimozione dal suo catalogo di “Via col Vento” e la sua reintroduzione con spiegazioni antirazziste e contro la schiavitù sull’onda delle proteste dei “Black Lives Matter”), alla domanda se il modo di vestire delle donne influisse sulla violenza sessuale, Khan ha risposto: “Se una donna indossa vestiti succinti, questo avrà un impatto sugli uomini, a meno che non siano robot”. Ha quindi attribuito al “buon senso” delle donne, il vestirsi un certo modo per non essere o molestate o stuprate. Inoltre ha sostenuto che la correlazione col modo do vestire della donna, dipende dalla società in cui si vive: “Se in una società in cui le persone non hanno mai visto quel genere di cose, questo avrà un impatto su di loro. Se cresci una società come la tua forse no”.
Riportando la notizia, il portale “Tpi” ricorda che nell’aprile scorso il premier pakistano aveva presentato il velo come un indumento che difendeva dagli stupri, come propugnano molti suoi sostenitori. “Se nella nostra religione esiste il concetto di velo, dietro c’è una filosofia, e quella filosofia è salvare il sistema familiare e proteggere la società”, aveva detto Khan.
Fortunatamente le sue nuove esternazioni sono state contestate da più parti in Pakistan. Bilal Bhutto Zardari, figlio di Benazir, alla quale, dopo il suo assassinio avvenuto il 27 dicembre 2007, nonostante avesse solo diciannove anni è succeduto alla guida del Partito Popolare Pakistano, primo partito d’opposizione nel Parlamento del Paese, ha commentato: “Bisognerebbe schierarsi dalla parte delle vittime e non offrire scuse a chi commette questi crimini”. “Imran Khan è in una posizione in cui dovrebbe scegliere saggiamente le proprie parole e azioni – ha continuato Bilal – Non può passare il messaggio che sia da biasimare chi subisce un torto e degli abusi”.
Parole analoghe sono state scritte su Twitter da Marriyum Aurangzeb, 41 anni il 16 luglio, portavoce della Pakistan Muslim League, il secondo partito di opposizione: “Il mondo ha avuto un’idea della mentalità malata, misogina, degenerata e misera di Imran Khan. Non sono le scelte delle donne a provocare le aggressioni sessuali – ha proseguito Marriyum – piuttosto quelle degli uomini che scelgono di impegnarsi in questo crimine spregevole e vile”. Le proteste, a cui hanno aderito anche donne che hanno subito o conoscono chi ha subito certi crimini, non si sono fermate qui né sui social né in piazza (a Karachi) “contro la cultura dello stupro, della violenza sessuale e la colpevolizzazione delle vittime, ormai arrivata anche ai più alti livelli ufficiali”. Sono stati mostrati gli abiti che alcune indossavano al momento degli abusi sessuali.
Sedici organizzazioni per i diritti delle donne hanno chiesto al primo ministro ex sportivo di scusarsi per ciò che ha detto, ma lui si è limitato a dire che le sue dichiarazioni non erano state riportate a dovere. Ad accusarlo, però ci sono anche quelle che ha reso ad aprile.
Di Alessandra Boga