Ahmad Massoud: chi era il “Leone del Panjshir”. Vent’anni dopo l’attentato contro di lui e il ritorno dei Talebani al potere in Afghanistan

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Fonte: Biografieonline

Tra due giorni sarà il ventesimo anniversario dell’11 settembre: “quell’”11 settembre e ci si sta preparando alle commemorazioni. Intanto sta passando ancora una volta un po’ in sordina un altro triste ventennale strettamente legato all’altro: l’attentato di cui è rimasto vittima il leader dell’Alleanza del Nord anti-talebano Ahmad Massoud, conosciuto come “il Leone del Panjshir”, una valle a tre ore di macchina dalla capitale afghana Kabul e per la cui salvezza gli uomini “di Massoud” hanno lanciato un appello alla comunità internazionale.

Ahmad Shah Masud (questo era il suo nome completo), 48 anni compiuti una settimana prima di morire, fu ucciso proprio il 9 settembre 2021 con un attentato suicida orchestrato dai Talebani e da al-Qaeda, la stessa famigerata esecutrice degli attentati negli Stati Uniti, in primis alle Torri Gemelle del Word Trade Center di New York.

Figlio del capo della polizia di Herat e Kabul e di etnia tagika, il futuro politico e guerrigliero, dopo aver studiato in una scuola di grammatica e in una madrasa, frequentò prima il liceo francese e poi la facoltà di Architettura al politecnico della capitale, fondato dagli occupanti sovietici.

Profondamente religioso, Masud (da ora in poi lo chiameremo così nell’articolo), poté comunque aprirsi alla modernità e all’Occidente. Fu anche profondamente nazionalista e indipendentista e quindi contro l’invasore russo.

Nel 1972 il futuro generale (perché arrivò a questo grado militare) divenne membro dell’organizzazione studentesca anti – sovietica delle gioventù musulmane. Nell’aprile del 1978 vi fu un colpo di stato guidato dal Partito Popolare dell’Afghanistan (PDPA) filo-sovietico, che cacciò il primo presidente del Paese, Mohammed Daoud Khan, il quale a sua volta aveva detronizzato re Mohammed Zahir Shah, rimasto poi in esilio a Roma per 29 anni e morto a Kabul nel 2007.

Dopo il colpo di Stato, l’URSS avviò una laicizzazione e una sovietizzazione forzata dell’Afghanistan. Tutto ciò portò Masud, che nel frattempo aveva scelto come altri la via dell’esilio a Peshawar in Pakistan (dove avevo letto scritti di Mao, del rivoluzionario yemenita Giap, e i pochi di Che Guevara), a tornare di nascosto in patria e nel suo Panjshir per organizzare la resistenza. L’invasione straniera, iniziata il 24 dicembre 1979, terminò il 15 febbraio 1989, anno in cui notoriamente l’Unione Sovietica crollò.

Nel 1992 Masud, nominato ministro della Difesa dello Stato Islamico dell’Afghanistan (già, era comunque uno Stato Islamico), dovette combattere militarmente contro un altro personaggio: Gulbuddin Hekmatyar, che aveva fondato in Pakistan il partito fondamentalista Hezb -e Islami, dividendosi nel 1976 dalla formazione studentesca di cui abbiamo parlato precedentemente.

Nel 1995 Masud ebbe la meglio e firmò un accordo col nemico, ma a questo punto iniziò doversela vedere con i talebani, anch’essi sostenuti dal Pakistan.

Arriviamo all’ultimo giorno del “Leone del Panjshir”: gli si avvicinarono due terroristi tunisini, che spacciarono per giornalisti incaricati di intervistarlo per un’emittente marocchina ed avevano nascosto una bomba nella telecamera.

La polizia belga verificò che i due erano stati reclutati a Bruxelles da un altro tunisino, Saif Allah Ben Hassine, “emiro” che fondò organizzazione salafita affiliata ad al-Qaeda Ansar al – Sharia (“Ausiliari della Sharia”). L’assassinio di Masud fu una sorta di “segnale” per gli attentati che sarebbero avvenuti 48 ore più tardi negli Stati Uniti.

Sembra che ai funerali di Masud avessero partecipato circa centomila persone. Nel 2002 ricevette una candidatura postuma al Nobel per la Pace. La proposero alcuni parlamentari francesi, amareggiando però i pashtun, che consideravano il defunto nient’altro che un “macellaio” e un comune signore della guerra.

Il premio è stato contestato anche dalla Revolutionary Association of Women of Afghanistan (RAWA), che ha ricordato “le migliaia di donne violentate sotto il regime” di Masud e ha definito lo stesso gruppo a cui apparteneva, “Jamiat – i – Islami”, “ultra fondamentalista”. Inoltre ha annoverato il personaggio tra i “lacché dell’Occidente”.

Nondimeno, sempre nel 2002, alla sua memoria fu conferito il Premio Sakharov per la libertà di pensiero e il 25 aprile (casualmente Festa della Liberazione italiana dal nazifascismo) fu proclamato eroe nazionale.

Il leader anti – talebano ha avuto anche una certa influenza culturale. Una fabbrica d’armi americana gli ha dedicato un fucile, dato alle truppe speciali in Afghanistan. Inoltre gli sono stati dedicati anche alcuni libri tra cui “Un letto di leoni” di Ken Follet e canzoni (in una delle quali Masud venne paragonato a Malcom X).

Eppure così aveva avuto modo di sfogarsi contro i governi europei ed occidentali: “I governi europei non capiscono che io non combatto solo per il mio Panjshir, ma per bloccare l’espansione dell’integralismo islamico scatenato a Teheran da Khomeini. Ve ne accorgerete!”. E ancora: “Come fate a non capire che se io lotto per fermare l’integralismo dei talebani, lotto anche per voi? E per l’avvenire di tutti?”.

L’errore, nonostante come abbiamo visto Masud avesse avuto anche ombre, si sta clamorosamente ripetendo vent’anni dopo. Ora a cercare di combattere gli “studenti coranici” e ad appellarsi alla comunità internazionale, c’è il 32enne primogenito omonimo del “Leone del Panjir”, il quale in questi giorni ha dovuto annunciare le prime importanti perdite della resistenza. Paradossalmente dall’altra parte c’è un altro “figlio d’arte” (totalmente in negativo, questa volta): Mohammad Yaqoob, 31 anni, primogenito del Mullah Omar.

Alessandra Boga

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