Matrimonio e divorzio nel mondo arabo e islamico: novità inaspettate

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Matrimonio e divorzio islamico
(Fonte: Gds)

Matrimonio e divorzio nel mondo arabo e islamico: è di pochi giorni fa la notizia che Khalifa bin Zayed al – Nahyan, presidente della confederazione degli Emirati Arabi Uniti ed emiro di Abu Dhabi, ha indetto una riforma del codice civile, emanando un decreto relativo allo “status personale” dei non musulmani. In particolare potranno sposarsi, divorziare, far decidere sull’affidamento dei figli e l’eredità in base al diritto civile e non alla shar’ia, la legge islamica. Saranno istituiti dei tribunali ad hoc (ovviamente non islamici) dal Dipartimento giudiziario. I giudici si esprimeranno sia in arabo che in inglese “al fine di facilitare la comprensione delle procedure giudiziarie da parte degli stranieri e migliorare la trasparenza giudiziaria”. Lo ha spiegato il Dipartimento della Giustizia.

La nuova legge mira a creare un “meccanismo giudiziario flessibile e avanzato per giudicare le controversie sullo stato personale per i non musulmani, migliorando così la posizione dell’emirato e la competitività globale .” Ancora: la norma vuole garantire a non musulmani di rispettare una “legge internazionalmente riconosciuta in termini di costumi, cultura, lingua e tutelare l’interesse superiore dei propri figli.” Per ulteriori informazioni rimandiamo all’articolo “Spiegazione: Con la nuova legge sul matrimonio e il divorzio di Abu Dhabi, cosa sta cambiando per i non musulmani”.

Non è la sola novità su matrimonio e divorzio nei Paesi arabi e islamici. Un articolo del marzo scorso da “Radio Divorzio”, una web radio no profit egiziana che informa le donne egiziane sul tema della fine dei matrimonio e tradotto in italiano sul sito “Mondopoli.it – Sguardi sul mondo – Portale di geopolitica ed economica internazionale”, fa sapere che le cause di divorzio (di solito un’extrema ratio “a causa di crescenti conflitti nella vita quotidiana, e se per i coniugi il rapporto è divenuto totalmente privo di comprensione, amore e supporto”) sono aumentate negli ultimi anni in una certa parte del mondo. “Soprattutto – spiega – per crudeltà, abusi e snaturamento del rapporto tra i coniugi, o adulterio. Ulteriori fattori possono essere rappresentati da situazioni economiche familiari difficili, noia per la condizione coniugale, malattia mentale, perdita della fede religiosa, perseguimento di uno stile di vita occidentale, o dal costringere la moglie a portare o non portare il velo, senza rispetto per l’eredità religiosa, culturale e morale di appartenenza”.

Sono di più le mogli a chiedere il divorzio rispetto ai mariti (56% contro il 44%). Se ciò può significare una maggior consapevolezza dei propri diritti da parte delle prime, va detto che pagano soprattutto loro questa scelta e le uniche a pagarne lo stigma sociale.

L’Egitto (con i suoi circa 100 milioni di abitanti) sembra essere il Paese arabo, in cui ci si separa maggiormente (nel 40% circa dei casi non oltre i 5 anni matrimonio). Moltissimi sono i divorzi, soprattutto nelle città (52,7% contro il 47,3% fuori): il numero delle donne divorziate nel Paese è di “circa due milioni e mezzo ed ogni sei minuti si verifica una nuova separazione, o un divorzio”. Il presidente Abdel Fattah El – Sisi ha auspicato dinamiche burocratiche più veloci.

Un’ottima notizia (posto che ovviamente può esserlo anche quella di una separazione e di un divorzio in sé, in particolare per le donne!) è che dal 22 agosto del 2017 non è più legale il divorzio istantaneo (leggi “ripudio”) unilaterale da parte degli uomini con la formula “Talaq, talaq, talaq”, “Ti ripudio, ti ripudio” (o “Divorzio da te”), scritta anche per sms o e-mail.

Dopo una ventina di Paesi islamici come l’Egitto, gli Emirati, Arabia Saudita, Bangladesh e Pakistan, è la volta dell’India, dove la Corte Suprema di New Delhi, ha stabilito l’incostituzionalità di questo tipo di divorzio dopo una serie di proteste da parte delleattiviste indiane musulmane per i diritti delle donne. Certo però non significa il ripudio non esista più di fatto, ma chi vi ricorre rischia se non altro una multa e fino a tre anni di reclusione.

Qualche riga fa abbiamo parlato dello stigma sociale in cui incorrono le donne divorziate nel mondo arabo e islamico. Fortunatamente non è sempre così.

Piacevole eccezione è il popolo saharawi, quello che vive nel Sahara Occidentale. E’ famoso a livello internazionale perché rivendica da anni la propria indipendenza da Marocco, Algeria e Mauritania; inoltre è al centro di dispute territoriali tra questi tre Paesi. Tra i saharawi, le donne divorziate non sono affatto malviste, anzi!
Vengono festeggiate dalla propria famiglia (madri e sorelle in particolare) e dalle loro amiche. Il divorzio viene considerato semplicemente una nuova fase della sua vita e non un fallimento di cui è responsabile. Semmai è una fortuna che si sia liberata magari di un marito violento, che ormai si è inimicato la famiglia dell’ex moglie!

Quando abbiamo parlato di “festa” per la donna divorziata, è proprio questo che intendevamo. Ci sono musica, balli e poesie in cui le donne vengono elogiate e sono un modo per cercare altri pretendenti. Per saperne di più: “Il mondo arabo che non si conosce: le feste per il divorzio per le donne saharawi.”

Certo, come abbiamo detto, in generale continuano le difficoltà sociali per le donne divorziate in questa parte del mondo, ma a parte l’eccezione dei saharawi, qualcosa sta comunque cambiando.

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