L’Università di Padova guarda alle studentesse e agli studenti afghani, che devono vedersela con il ritorno al potere dei talebani. L’ “Huffington Post” rende noto che il celebre ateneo italiano ha finanziato 50 borse di studio con un programma chiamato “Unipd 4 Afghanistan”. Permette a questi giovani in difficoltà (e alcuni veramente a rischio) di venire in Italia e continuare a studiare.
Le domande pervenute però sono state oltre il doppio, così l’Università di Padova ha lanciato una raccolta fondi. Si rivolge a privati, aziende, associazioni e fondazioni. Studenti e studentesse vengono fatti arrivare nel capoluogo veneto e mantenuti per tre anni con 36.000 euro (pari a 12.000 euro l’anno).
L’ “Huffington Post” ha interpellato la rettrice Daniela Mapelli, che ha raccontato: “Ad agosto, quando la situazione è precipitata, il nostro primo pensiero è andato alle studentesse e agli studenti dell’Afghanistan. Ci siamo subito informati su quanti studenti afghani si erano immatricolati per quest’anno nel nostro ateneo e abbiamo scoperto che erano 17. Ci siamo attivati con i vari ministeri – Università, Esteri e Interno – per cercare di portare questi studenti in Italia, visto che avevano già passato il test di selezione ed erano già immatricolati da noi. Con molti sforzi eravamo riusciti a organizzare la partenza: erano all’aeroporto di Kabul, pronti a imbarcarsi, il giorno in cui è scoppiata la bomba. Siamo riusciti a riprendere i contatti con loro e seguirli nei loro percorsi: alcuni erano riusciti ad arrivare in Turchia, in Iran, in Russia. Sette erano rimasti a Kabul, con il terrore di essere perseguitati per aver cercato di fuggire. Finalmente, dopo varie peripezie, siamo riusciti a farli arrivare a Islamabad, in Pakistan: ora sono tutti in viaggio verso Padova”.
Intanto è partita l’iniziativa delle 50 borse di studio. “Abbiamo ricevuto moltissime richieste e abbiamo già assegnato le prime 47 borse”, ha fatto sapere la Professoressa Mapelli. “Data la difficoltà di far uscire, ora, persone dall’Afghanistan, gli assegnatari sono studenti afghani già in Italia o fuggiti in altri Paesi – soprattutto Pakistan, Russia e Turchia – che con il nostro visto di studio possono partire alla volta dell’Italia. Di questi primi 47 studenti, 18 sono donne”.
Trapela qualche nome dei ragazzi che hanno beneficiato delle borse di studio. Hajar Rafiee è arrivata nel nostro Paese l’ultima settimana di agosto. Racconta: “Malgrado tutto, ho fiducia nell’umanità: credo che se le persone si aiutano a vicenda il mondo sarà più sicuro e pacifico. Qui ne ho avuto la conferma: queste borse di studio sono una grande opportunità per il popolo afghano che deve affrontare grandi tragedie. So che molte persone hanno i soldi, ma poche li spendono nel modo giusto per portare il sorriso sulle labbra degli altri. Questa borsa di studio può fare una grande differenza nella mia istruzione, permettendomi di essere più selettiva su come iniziare questo nuovo viaggio e una nuova vita in Italia”.
Parla anche dell’Afghanistan e ovviamente dice di essere “davvero preoccupata. Non avevamo una vita perfetta, ma una vita normale, bella, piena di desideri e sogni per rendere migliore il nostro Paese. Giorno dopo giorno eravamo vicini al nostro obiettivo ma sfortunatamente tutto si è distrutto in una sola settimana. I talebani hanno alcune regole che tutti conosciamo, e la maggior parte è contro i diritti delle donne. Secondo i dettami talebani, ad esempio, le donne e le ragazze dagli 8 anni in su devono indossare un burqa ed essere accompagnate da un parente maschio per uscire in strada e persino per andare dal medico. Alle donne non è consentito parlare ad alta voce in pubblico; la loro immagine non può comparire in tv, sui giornali e sulle riviste. Le donne non possono andare in bicicletta o in moto, neanche con un accompagnatore; non possono prendere un taxi o un autobus se i servizi non sono separati tra maschi e femmine. Chi trasgredisce viene punito pubblicamente, un avvertimento per chiunque pensi di disobbedire alle regole talebane. Ovviamente tutti sanno che non c’è nessuna clausola nelle dottrine islamiche che impedisce alle donne di lavorare, con una lunga tradizione di donne che lavorano in posizioni importanti nella società afghana”.
“Ma le donne afghane sono forti – tiene a sottolineare Hajar – hanno lottato a lungo per diritti fondamentali come l’istruzione, il lavoro, l’indipendenza. Sono sicura che i talebani hanno paura di donne così forti: sanno che possono allevare generazioni diverse che un giorno cambieranno la situazione in Afghanistan”.
Questa ragazza si è iscritta alla Facoltà di Neuroscienze cognitive e neuropsicologia clinica. “Vorrei aiutare le persone con problemi psicologici o mentali – spiega – Spero un giorno di poter tornare nella mia terra e lavorare lì come psicologa, dopo aver completato la mia formazione con un PhD all’Università di Padova”.
E’ stata raccolta anche la testimonianza di un ragazzo, Sajjad Husaini, che è iscritto al Corso di laurea magistrale in European and Global Studies. Proviene dai monti della città di Bamiyan, quella dei famosi Buddha distrutti dai talebani, e ama tantissimo sciare. Ha persino tentato di qualificarsi alle Olimpiadi del 2018.
Anche lui è preoccupatissimo per l’Afghanistan, soprattutto perché tre dei suoi fratelli sono ancora lì. “La situazione peggiora di giorno in giorno. Alcuni pensavano che le condizioni di sicurezza sarebbero migliorate dopo la presa del potere da parte dei talebani, ma purtroppo non è così: abbiamo notizie di ripetuti attacchi terroristici contro la popolazione civile. Per la mia etnia, gli hazara, la situazione è particolarmente tragica, siamo perseguitati. La crisi economica è tremenda, sempre più persone soffrono la fame. Sono grato all’Università di Padova per questa opportunità. Voglio imparare la lingua italiana, laurearmi e proseguire con un dottorato. Prima vedevo nero, ora davanti a me vedo un futuro”.
Conclude con parole simili la rettrice dell’Università di Padova: “Negli occhi di queste studentesse e di questi studenti vedo malinconia e preoccupazione per le persone care lasciate in Afghanistan, ma anche una straordinaria determinazione e voglia di fare. La loro presenza è un arricchimento enorme per gli studenti italiani. Noi parliamo sempre di numeri, ma dietro ogni numero c’è una persona: assegnare anche solo una o due borse in più, vuol dire offrire una possibilità di vita diversa. Siamo stati vent’anni in quel Paese, abbiamo delle responsabilità. Abbiamo fatto credere a intere generazioni di ragazze che potevano studiare, lavorare, avere una vita indipendente; poi da un giorno all’altro la loro vita è cambiata. Qui possono iniziare daccapo”. Non possiamo che fare loro i nostri migliori auguri!