IL POTENZIALE DELL’IDROGENO IN MAROCCO

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IL POTENZIALE DELL’IDROGENO IN MAROCCO – Gli effetti causati dai cambiamenti climatici, cresciuti notevolmente negli ultimi anni, sommate all’aumento delle temperature e all’emissione di CO2 in atmosfera, alle attività economiche dell’uomo, alla crescita della popolazione e alla domanda di energia, pongono l’obbligo di invertire questa tendenza. Per contenere il riscaldamento globale, sarà necessario ridurre le emissioni del 60 per cento al 2030 e arrivare alla neutralità carbonica entro il 2050. Ad aggravare ulteriormente la situazione, dopo due anni di profonda crisi sanitaria causata dal Covid-19, anche il recente conflitto tra Russia e Ucraina che ha avuto come primo effetto l’aumento dei prezzi del gas e del petrolio. A pagare le spese maggiori sono proprio i Paesi europei che hanno costruito la loro strategia di sviluppo sull’import di gas e petrolio per oltre il 40 per cento dalla Russia. Una dipendenza trasformata in arma letale di ricatto nella mano di Mosca.

Gli scenari della transizione energetica descritti dall’Agenzia internazionale per l’energia potrebbero subire ulteriori rallentamenti. Tuttavia, nonostante le pressioni di bilancio, molti Paesi hanno iniziato a comprendere l’importanza di ridurre la propria dipendenza dall’import di energia prodotto da combustibili fossili. Un caso che sta facendo scuola è il Marocco, che dista appena tre ore di volo da Roma. Con l’obiettivo di invertire il trend e di tagliare la sua dipendenza di import di energia dall’estero, oggi al 90 per cento, sta lavorando intensamente per aumentare la quota di energia rinnovabile nel suo mix energetico, il 52 per cento entro il 2030. La più alta quota annunciata in assoluto.

Grazie alla sua stabilità politica e sociale, il Paese sta affrontando la più grande trasformazione dei tempi moderni, con il nuovo governo che ha intrapreso la continuità della politica energetica puntando sulle rinnovabili e l’idrogeno verde. Negli ultimi anni, il Marocco ha adottato un ambizioso progetto per l’idrogeno verde stabilendo una strategia da attuare gradualmente, con l’obiettivo di garantire uno sfruttamento ottimale di tutto il potenziale sia per l’economia nazionale che per l’export. Al momento, il Paese nordafricano ha il più grande piano di investimenti annunciati sull’idrogeno verde, con una tabella di marcia pubblicata dal governo nel gennaio 2021 scorso.

In pratica, il governo si muove su una visione a lungo termine e con piani decennali. Nell’immediato decennio 2020-2030 ha stabilito come obiettivi l’utilizzo di molecole verdi, in primis appunto l’idrogeno, ammoniaca e metanolo come materia prima industriale, l’export, in particolare verso l’Europa, e l’esplorazione di giacimenti naturali. Nel 2030-2040 si è deciso di sviluppare i primi progetti economicamente sostenibili, esportare combustibili liquidi sintetici e utilizzare l’idrogeno come vettore di accumulo di energia. Infine, nell’ultima decade, 2040-2050, dovrebbe aumentare ulteriormente le capacità nazionali di produzione di idrogeno, ammoniaca e combustibili sintetici verdi per intensificare il suo export.

Si tratta di una sfida enorme, che potrebbe consacrare il Marocco tra i leader mondiali nella produzione di energia da fonti rinnovabili, ma che richiede massicci investimenti. Sul piatto il Marocco ha messo svariati miliardi di dollari, per la precisione poco più 8. Per avere un’idea dell’importo basta fare un breve confronto con gli investimenti messi in campo dai ricchi Paesi europei. La Germania, maggior investitore europeo nel settore, ha annunciato nel 2021 lo stesso importo messo in campo dal Marocco, a seguire la Francia che ha annunciato ulteriori 1,9 miliardi rispetto ai 7 annunciati, il Regno Unito con 4 miliardi e la Spagna con 1,9 miliardi di euro. Cifre che, guardate sotto la lente del Pil nazionale, posizionano il Marocco in testa alla classifica.

Così il Paese nordafricano si conferma un vero investitore nella transizione verso fonti rinnovabili, anche grazie al suo posizionamento geostrategico tra Europa e Africa, che gli consente di poter consolidare e sviluppare serenamente la sua strategia nazionale per la produzione e l’export di idrogeno. Secondo i dati del ministero della Transizione energetica marocchino, il Paese conta di intercettare circa il 4 per cento del mercato globale. Per accelerare in questa direzione, lo stesso ministero ha avviato la creazione di una Commissione nazionale per l’idrogeno verde per coinvolgere tutti gli stakeholder e predisporre un ambiente favorevole all’emergere del settore. Piano infrastrutturale, regolamento del quadro fiscale, rafforzamento delle capacità e delle infrastrutture industriali e di ricerca e sviluppo, sono tra le priorità della neo commissione.

Secondo il Rapporto 2022 pubblicato da Irena, “il Marocco è considerato, da diversi anni, uno dei pionieri nel campo delle energie rinnovabili e dell’idrogeno verde”, sottolineando come questo mercato possa addirittura fornire fino al 12 per cento del fabbisogno energetico mondiale entro il 2050. Posizione strategica e Hub Ue-Africa. È indubbio che la posizione del Marocco, a 12 chilometri dall’Europa, insieme alla sua rete di partnership internazionale, tra cui Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Africa, Paesi del Golfo, Paesi Arabi lo rendono un eccezionale interlocutore. Per noi in Europa è anche un partner affidabile, che gode di uno statuto avanzato con l’Ue dal 2007. Basti pensare che non c’è dogana tra il Regno del Marocco e l’Ue.

Le relazioni tra il Marocco e l’Ue risalgono a oltre cinquant’anni anni fa, e sono disciplinate da un accordo di partenariato e da strumenti di cooperazione multisettoriali. Il Marocco, ad esempio, è il principale beneficiario dello strumento del Vicinato dell’Ue nella regione.

Non a caso, si trova proprio alle porte del deserto del Marocco, nella zona di Ouarzazateil più grande impianto solare termodinamico del mondo, che dovrebbe fornire elettricità pulita a circa 2 milioni di abitanti. Frutto di un alleanza strategica internazionale, è finanziato anche dall’Ue. Il Marocco è interconnesso attraverso la Spagna con due cavi sottomarini e un terzo in fase di studio e con il Portogallo, mentre è in fase di studio altri progetti con i Paesi subsahariani attraverso la Mauritania. E sempre sul fronte energetico, il Marocco è un punto di riferimento importante per la Gran Bretagna, tanto che si prevede di realizzare il cavo elettrico sottomarino, considerato il più lungo del mondo, tra i due Regni: 3.800 chilometri e un costo intorno a 64 miliardi di euro. Il cavo dovrebbe convogliare nel Regno di Elisabetta II circa 10,5 Gigawatt di energia prodotta da fonti solari. Secondo i primi studi, l’energia prodotta sarà garantita dal sole e dal vento h24.

Sullo scacchiere africano

E noi? L’Italia ha investito moltissimo sulla cooperazione allo sviluppo ma ancora fatica a ritagliare un posizionamento tra le prime fila. Se da una parte alla nostra diplomazia è riconosciuto un ruolo di primo ordine, è altrettanto vero che non corrisponde in termini economici e geostrategici. Forse dovremmo iniziare a intraprendere azioni più incisive e propositive, piuttosto che di attesa. Non fornitori di servizi ai nostri alleati dell’Unione ma attestarci un pezzo della leadership. La globalizzazione e la lotta per i propri interessi non permette ritardi. Abbiamo la necessità di investire sul nostro capitale umano e culturale, sul patrimonio mondiale, per ritagliarci spazi strategici nell’arena internazionale. Le altre potenze europee lo hanno fatto da molto tempo, e se hanno scommesso sul Marocco un motivo ci sarà.

Ma quale è la situazione attuale? Possiamo riassumere in due blocchi

A favore del Marocco: Blocco Occidentale composto da Stati Uniti-Regno Unito-Francia-Germania-Spagna-Portogallo, e altri Paesi europei, Paesi del Golfo, del Maghreb arabo e Gran parte dei Paesi africani sostengono la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale e il suo piano di autonomia. A favore dei separatisti: Blocco filo-ex-sovietico composto da Algeria, principale promotore e finanziatore dei separatisti e unico alleato della Russia nella regione, insieme ad alcuni Paesi filo-comunisti dell’ex Unione Sovietica.

E noi, Italia, come ci posizioniamo?

Se da una parte le relazioni bilaterali tra Italia e Marocco sono ottime, con un partenariato regolato da più di 100 accordi bilaterali, e la presenza italiana nel mercato marocchino è caratterizzata dalla partecipazione di piccole e medie imprese, è chiaro che abbiamo a che fare con un Paese strategico per l’Italia in virtù delle ragioni prima enunciate. Eppure, abbiamo deciso di fare diversamente dalle altre superpotenze. L’Italia, infatti, si è “schierata” con l’Algeria, alleato di Vladimir Putin. Un caso paradossale, vista la crisi umanitaria ed energetica scatenata dalla furia guerriera della Russia contro l’Ucraina e l’Europa. Il nostro governo ha scelto, seguendo la linea occidentale, di tagliare le relazioni con Mosca, da cui dipendiamo per il 40 per cento di fornitura del gas, ma abbiamo intensificato l’import del gas dal suo principale alleato algerino.

Non ci sarebbe nulla di male se non fosse che, secondo tutte i report internazionali, l’Algeria è uno dei Paesi più instabili al mondo, governato da una oligarchia militare da tre decenni, esattamente come in Russia. Non c’è libertà di opinione, e l’opposizione marcisce da anni nelle galere, come denuncia Amnesty International. In sostanza, stiamo ripetendo lo stesso errore fatto con Mosca da Putin, sacrificando i nostri valori per interessi economici di breve periodo. A costo di avere il gas, rischiamo di passare, come dice bene il detto, “dalla padella alla brace”. É opportuno interrogarsi se questa nostra scelta geostrategica sia stata oculata. Tenuto conto che, a causa dell’acuirsi della crisi diplomatica tra Marocco e Algeria, e la recente decisione spagnola, l’Algeria ha tagliato in una notte la fornitura del gas a Madrid. E per sempre. È un partner affidabile? Qualche sospetto c’è, e dovremmo essere vaccinati dal ricatto energetico. D’altronde, la nostra azienda di punta, l’Eni, ha intensificato gli investimenti con miliardi di euro per migliorare le infrastrutture algerine e aumentare la produzione. Quali garanzie abbiamo? Quali rischi corriamo?

L’opinionedellelibertà

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