La nuova centralità del Marocco per la diversificazione energetica europea – Tra gasdotti e transizione verde, il Marocco torna a percorrere i sentieri della diplomazia energetica europea. Il punto di Alessandro Giuli.
Il Marocco torna a muovere i suoi passi lungo i sentieri della diplomazia energetica europea, attualmente monopolizzata come noto dall’Algeria in qualità di agognato “bene rifugio” alternativo all’approvvigionamento russo congelato per vie sanzionatorie (oltre allo shale gas americano, le altre principali risorse disponibili sono state individuate in Angola, Egitto e Nigeria). A distanza di mesi dagli ultimi passi ufficiali, adesso Rabat può finalmente formalizzare l’avvio del gasdotto transahariano (NMGP) concepito in partnership con la Nigeria e la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDAO). Sebbene privo di un cronoprogramma circostanziato, il progetto infrastrutturale dovrebbe unire la Nigeria e il Marocco seguendo una direttrice di circa 6mila chilometri che attraversa 13 Paesi continentali lungo la costa atlantica, con diramazioni interne in Niger, Burkina Faso e Mali. Obiettivo: trasportare più di 5mila miliardi di metri cubi di gas naturale da immettere nella rete intercontinentale europea attraverso il gasdotto Maghreb-Europa (GME). Nelle premesse, si tratta un’infrastruttura colossale “destinata – parole del re Mohammed VI – alle generazioni presenti e future in favore della pace, dell’integrazione economica africana e dello sviluppo comune del Continente che punta ad agganciarsi stabilmente all’Europa”.
Il piano originario del memorandum d’intesa con la Nigeria risale al 2016, comporta un investimento di circa 30 miliardi di dollari ed è ispirato (anche) dalla storica rivalità geopolitica tra Rabat e Algeri, esacerbata dalla svelta ritorsiva di sbarrare il tratto marocchino del GME diretto in Spagna a seguito alla rottura dei rapporti diplomatici avvenuta nell’agosto 2021. L’Algeria, che gioca di fatto un ruolo primario regionale essendo il primo Stato esportatore di gas africano e il settimo al mondo, a fine giugno aveva a sua volta siglato un memorandum con Nigeria e Niger per un progetto parallelo (TSGP) di 4mila chilometri con sbocco nei propri confini. E nel settembre scorso il ministro nigeriano dell’Energia, Timipre Sylva, ha precisato ulteriormente i dettagli d’una serie di progetti giacenti da vent’anni fa e che trovano nella Libia un ulteriore partner.
In attesa di concreti sviluppi materiali conseguenti agli studi tecnico-ingegneristici, l’Unione europea e il Regno Unito hanno da tempo scelto il Marocco come interlocutore privilegiato nella fornitura di energie rinnovabili. Dopo aver investito fino a 700 milioni di euro negli ultimi anni, ora Bruxelles ha deciso di rafforzare la cooperazione nella lotta contro i cambiamenti climatici agevolando piani comuni di transizione energetica green. Rabat costituisce il primo partner dell’Unione: a metà ottobre, nella capitale del Regno, il ministro degli Affari esteri, Nasser Bourita, e il vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, hanno firmato un protocollo d’intesa che definisce linee di azione corali verso un’industria decarbonizzata attraverso il ricorso alle energie rinnovabili. Tale “Patto verde” ha come obiettivo l’abbattimento entro il 2050 delle emissioni di gas serra e coinvolge differenti organizzazioni finanziarie e agenzie di cooperazione europee. Al contempo, si punta all’affrancamento dai combustibili fossili in larga parte costituiti dagli idrocarburi russi. Tutto ciò, malgrado l’Ufficio nazionale degli idrocarburi marocchini (ONHYM) e i suoi partner privati abbiano investito nei primi nove mesi del 2022 ben 25 milioni di euro nell’esplorazione petrolifera della regione maghrebina: un lavoro guidato da 11 società sopra una superficie di 207.423 chilometri quadrati fra terra e mare.
In conclusione: a dispetto delle divisioni interne alle nazioni del Vecchio continente, in larga parte dovute al diverso grado di dipendenza da Mosca, il punto di vista strategico europeo risulta abbastanza chiaro. Meno apprezzabile è invece quello africano – e del Maghreb segnatamente, come dimostra il clivage tra Algeria e Marocco – che mostra lacune croniche nell’individuazione e nella difesa dei propri interessi complessivi.