Cina – Le autorità sanitarie cinesi hanno dato i primi segnali di un possibile allentamento della rigida politica “zero Covid”, dopo un’ondata di rabbiose manifestazioni contro le restrizioni sanitarie e per maggiori libertà.
Esasperati dai ripetuti confinamenti e dai test PCR quasi quotidiani, migliaia di cinesi hanno manifestato lo scorso fine settimana, a Pechino, Shanghai, Guangzhou o persino a Wuhan, dove i primi casi erano stati rilevati nel dicembre del 2019. Per le autorità comuniste si tratta dell’ondata di protesta più diffusa dalle mobilitazioni democratiche di Tiananmen nel 1989.
Nella megalopoli industriale di Canton (sud), dove gli scontri di martedì avevano contrapposto manifestanti e polizia, è stato revocato il confinamento in atto da diverse settimane, nonostante i dati record sulla contaminazione. Le restrizioni sono state allentate, in misura diversa, negli 11 distretti di Guangzhou, compreso Haizhu, epicentro delle mobilitazioni. Ad eccezione di alcuni quartieri considerati “ad alto rischio”, secondo l’Asl, “gli altri sono gestiti come zone a basso rischio”.
Anche la città di Chongqing ha annunciato mercoledì che i casi di contatto che soddisfano determinate condizioni avrebbero diritto a effettuare la quarantena a casa, un netto cambiamento rispetto alla politica applicata fino ad allora che imponeva a tutti – casi positivi e contatti – di recarsi a un centro di quarantena.
Mentre ci avviciniamo al terzo anniversario dei primi casi rilevati a Wuhan, è chiaro che gli abitanti sono stanchi.
Lo stretto controllo delle autorità sulle informazioni e le restrizioni sanitarie ai viaggi all’interno della Cina rendono difficile valutare il numero totale di manifestanti nel Paese.
Mercoledì, quando è stata annunciata la morte dell’ex presidente Jiang Zemin, salito al potere subito dopo Tiananmen, il Partito comunista ha giustamente sottolineato la sua capacità di riportare la calma durante questa rivolta.