Donne – Ed è di nuovo i’8 Marzo. Le strade, le case ,la tv, tutto si colora di giallo , ci risiamo .
Parliamo di donne, festeggiamo le donne…NO io non ci sto.
Donne violentate , l’arrivo della Pandemia, la chiusura a casa ha spinto ancora di più il problema, la mancanza di posti di lavoro e la conseguente restrizione dell’offerta esclude ancora di piu le donne.
E senza un suo lavoro è più facile che la donna soccomba.
Durante il lockdown sono state 5.031 le telefonate valide al 1522, il 73% in più sullo stesso periodo del 2019. Le vittime che hanno chiesto aiuto sono 2.013 (+59%).
Ma che abbiamo da festeggiare!!!!!!!
La condizione femminile è un indicatore significativo dello sviluppo di un paese e del suo grado di civiltà, quindi agendo sulle donne si promuove il progresso socio-economico territorio.
ProDoMed considera il lavoro femminile strumento coesione ed inclusione sociale
Il nostro impegno sociale è rivolto proprio a coniugare Mediterraneo con Sviluppo e con donne.
Insieme ad un gruppo di donne del mediterraneo, ognuno di loro leader nel proprio campo, stiamo cercando di coinvolgere non solo individualmente, ma soprattutto come gruppi, le altre donne che già lavorano o si occupano comunque di cultura, perché servano da traino alle altre meno fortunate, per contribuire ad una rinascita della cultura e civiltà di nostra appartenenza.
La donna del Mediterraneo è già, in qualche modo, una sintesi dei vari flussi culturali che, lungo i secoli, hanno attraversato questo mare.
Sogno— infranto Lavoro femminile e aumento pil nazione e trasnazionale
Attualmente stiamo vivendo un momento storico di transizione, se non di rivoluzione, di valori culturali, civili economici e sociali.
L’indicatore che meglio riassume il divario fra buoni propositi e realtà è il tasso di occupazione femminile.
C’è la crisi, d’accordo. MA: se la percentuale di donne impiegate raggiungesse quella degli uomini
In Italia se si incrementasse il lavoro femminile, in considerazione dell’indotto che ne deriva, il Pil salirebbe del 7 %.
Per ogni cento posti di lavoro affidati a una donna, si metterebbe in azione un circuito virtuoso che crea 15 posti aggiuntivi nel settore dei servizi.
A parere della Business School dell´università di Leeds, invece, se c´è almeno una donna in un consiglio di amministrazione, le probabilità che l´impresa sia posta in liquidazione forzata diminuiscono del 20%. Sarebbe auspicabile un riconoscimento del valore di investimento e non di spesa, del miglioramento delle condizioni lavorative della donna anzi della famiglia, nucleo fondamentale della società, distinguendo come irrinunciabile diritto la cura della stessa e come delegabile la manutenzione.
Le vecchie politiche pubbliche sono insufficienti, lacunose e poco efficaci. Quelle «nuove» sono oggetto di dichiarazioni programmatiche per lo più rituali, che poi non riescono a tradursi in pratica.
Sappiamo che vi sono enormi vincoli finanziari, che è difficilissimo reperire risorse per costruire nuovi asili, espandere i servizi sociali, aumentare gli assegni per i figli o introdurre crediti fiscali per le madri che lavorano. Ma non è solo una questione di soldi. Il problema principale è questo: l’agenda donne non è stabilmente ancorata al nucleo centrale della nostra politica economica e sociale. È percepita e trattata come un accessorio, del quale occuparsi «dopo» o «di lato», perché in fondo meno essenziale di altri obiettivi.
Quando si darà più importanza ai valori umani piuttosto che ai valori sociali, le attitudini ed i comportamenti nei confronti delle donne cambieranno. Si deve dare più importanza al fatto che la dignità non dipende dallo stato sociale, economico o politico, ma dall’applicazione pratica dei diritti.
Lo sfruttamento delle donne assume forme differenti in diverse parti del mondo.
Promuovere riscatto delle donne vuol dire far si che queste si trasformino in propulsori di crescita socio-economica di tutto territorio.
In strutture dove presente lavoro femminile, questo svolge ruolo positivo e determinante
Nei paesi sottosviluppati, le donne sono vittime di uno sfruttamento economico diretto. Essendo state private della loro stabilità economica, una certa parte delle donne sole sono state obbligate alla prostituzione. Da economia di sussistenza a sviluppo agricoltura , pesca, commercio ,industria, servizi.
Lavoro si trasferisce da zone povere e quindi ulteriori squilibri che inducono impoverimento.
Troviamo uno s viluppo non lineare e spontaneo ma orientato da uomini , non univoco causa diversita’.
Fattore umano fondamentale è il maschio
Ma la storia è il risultato dell’agire umano ; esseri umani : ½ uomini , ma meta’ donne quindi ugualmente protagoniste storia, ma diminutio condizione: donna tenuta x secoli In ruolo subordinato
Nel mondo occidentale la condizione socio economica della donna è migliore anche di quella dell’uomo stesso nei paesi sottosviluppati. Il problema, nella società occidentale, è soprattutto psicologico e culturale, piuttosto che economico e politico.
Da una parte all’altra del mondo ci sono notevoli differenze nella psicologia e nelle situazioni, la lotta per la donna non può essere quindi la stessa ovunque. Il carattere ed i valori interiori hanno una maggiore importanza nel mondo orientale, mentre i valori oggettivi esterni hanno creato problemi d’identità e senso d’insicurezza soprattutto nelle donne occidentali che devono sempre verificare il proprio valore in termini di immagine, capacità economica, posizione politica e stato sociale.
L’essere responsabile della continuita’ della specie permette di proiettarsi nel futuro con sguardo al passato.
|( Uno sguardo al passato.
All’alba della civiltà l’uomo e la donna hanno diviso le responsabilità con spirito di cooperazione coordinata e non subordinata. L’analisi storica dimostra che i diritti delle donne non sono stati strappati d’un tratto come il potere politico.
La differenza sostanziale fra le culture indoeuropee e quelle autoctone del Mediterraneo, in ambito protostorico, era il concetto di società a cui esse si rifacevano
I ritrovamenti archeologici, dimostrano che nelle comunità paleolitiche e neolitiche, vigeva l’uguaglianza tra i sessi e, in alcuni casi (in alcune società nomadi di caccia e raccolta) le donne partecipavano alla caccia. Durante l’età neolitica si diffuse il culto della dea madre (esempio chiarificatore è la Venere di Willendorf) dispensatrice di vita. Il neolitico (tra i 10.000 e 6000 anni fa circa) è stato un periodo di grande trasformazione, si ebbe l’invenzione dell’agricoltura, questa era praticata soprattutto dalle donne ed era diventata la maggior fonte di sopravvivenza per le comunità che la praticavano. La donna proprio come la terra era considerata fonte di vita (è infatti dal grembo materno che nascono i bambini, così come dalla terra nascono le piante). Ella era molto rispettata e, benchè le tesi di un periodo matriarcale sono da considerare fallaci, la discendenza era matrilineare. Era un periodo in cui vigeva la parità tra uomo e donna e, vi erano sacerdoti e sacerdotesse, senza questioni di sesso. E’ con le invasioni dei popoli indoeuropei, (delle tribù indoeuropee chiamate Kurgan) insieme ad altri fattori che le cose cambiarono. La grande Madre fu messa da parte per far posto a divinità maschili e maschiliste, violente, egocentriche e vendicatrici. La divinità femminile primigenia si è frammentò in tante dee, le quali avevano comunque un ruolo subalterno agli dei maschili. L’indoeuropea aveva una società basata sul rapporto di dominazione/sottomissione, l’altra era, una società basata sull’uguaglianza (fra i sessi). In alcuni siti archeologici, relativi alle culture indoeuropee (leggi Kurgan), sono state ritrovate delle tombe di donne guerriere. Questo non significava che tra i “ pastori nomadi “ esistesse l’uguaglianza, bensì, che in una società in cui vigeva il predominio (maschile), sulla sottomissione (femminile), soltanto se, la donna perdeva le sue caratteristiche materne e femminili, poteva essere considerata dagli uomini loro pari, nel senso che veniva considerata “maschio”. In altre parole, la donna che assumeva le caratteristiche maschili, non era più vista come donna bensì, come “uomo” ed erano le caratteristiche maschili che gli uomini rispettavano (per fare un esempio, anche oggi delle donne di carattere, si dice che “hanno le palle”). Alcune dee come Atena assunsero delle caratteristiche maschili. Lo ricordiamo, gli attributi di Atena (protettrice della città di Atene, che le dedicò il tempio più importante della città (il Partenone) erano: lo scudo, la lancia e l’elmo, tutte cose maschili.
Le culture mediterranee neolitiche comunque, non erano matriarcali ma, erano società basate su un sistema egualitario e, le donne erano rispettate come persone e non viste come fattrici di bambini (la stessa visione delle varie religioni oggi come ieri). Le culture successive, si basarono su una società di tipo dominazione/sottomissione, nelle quali, vi era un superiore (l’uomo) e un’inferiore (la donna e lo schiavo). Benché nel pantheon di tali sistemi aggregativi, le dee avevano dei ruoli rilevanti, esse, erano sempre in secondo piano rispetto al dio. Giove o Zeus che sia, il barbuto vecchietto, era sempre il capo assoluto. Così era in tutti i sistemi divini dei popoli antichi. La società nilotica (mi riferisco agli antichi Egizi) era di stampo ugualitario, fra le molte regine famose e potenti che ressero il regno d’Egitto, tra Cleopatra VII e la famosa regina Nefertiti, è d’obbligo citare Hatshepsut, che nel XV a. C. secolo divenne Faraone. Lo stesso dicasi per la società etrusca. Nella società romana la donna acquista sempre più importanza, ricordiamo lo stupore dei greci nello scoprire che alle matrone romane era concesso di partecipare ai banchetti, cosa proibita alle donne greche che, dovevano stare in casa a fare la calza, altrimenti ne andava dell’onore (onore d’osteria si intende) del capofamiglia (ovviamente maschio). Pur tuttavia ella rimaneva in ogni modo sotto la tutela del marito o del padre. Benchè i culti delle divinità femminili ebbero molto seguito nell’ambito mediterraneo, ciò non cambia la situazione giuridica della donna nell’antichità. La teoria di una divinità femminile dispensatrice di vita è nota da molto tempo. )|
I Diritti Umani :
Se è vero che nel campo dei diritti umani delle donne sono stati ottenuti notevoli risultati dal tempo dell’adozione della Dichiarazione Universale, è altrettanto chiaro che molto ancora deve essere fatto. La tradizionale collocazione marginale dei diritti umani delle donne riflette fedelmente la posizione subordinata che le donne continuano ad occupare in molte parti del mondo. Il diritto internazionale in materia di diritti umani e i meccanismi stabiliti per la sua applicazione costituiscono un’arma importante nella lotta per i diritti umani.
Il Diritto di Universalità, è bene ricordarlo non deve imporre una Cultura Unica, ma vuole che la libertà di coscienza e di giudizio venga garantita, cercando di preservare la Differenza. L’universalità, quindi, non è sinonimo di uniformità. le donne partecipano meno ai network informativi a causa delle interruzioni lavorative e delle responsabilità familiari e tendono a rimanere estranee per cultura sociale ai circuiti informali dell’informazione economica,
– le donne hanno minori probabilità di ricevere un’educazione significativa per la gestione d’impresa perché solitamente seguono percorsi di studio più orientati alle discipline umanistiche e meno orientati alle discipline tecniche, scientifiche e agli aspetti commerciali,
– le donne hanno minore esperienza organizzativa e manageriale spendibile nell’attività d’impresa o addirittura non hanno precedenti esperienze lavorative,
– le donne hanno minore disponibilità di tempo da dedicare al lavoro a causa degli impegni familiari.
Da quanto detto emerge chiaramente una connaturata fragilità della impresa femminile a conferma della sua nascita come soluzione “di ripiego”. E’ significativo in tal senso che i settori dei servizi e del commercio hanno notoriamente ridotte barriere all’entrata rispetto agli altri settori più “tecnici” come quello meccanico. Questo testimonia l’accrescersi delle possibilità legate alla terziarizzazione dell’economia e la modalità “di genere” che le donne hanno colto nello “scegliere” quei settori. In tal senso le maggiori capacità relazionali e di interazione con la clientela riconosciute alle donne potrebbe costituire un “vantaggio competitivo” rispetto agli uomini testimoniato da tale scelta.
Tale elemento “distintivo” delle donne nei due settori non facilita certo nella soluzione della pesante eredità sociologica e culturale che comunque connota le imprenditrici o libere professioniste che vi operano e che in buona sostanza confermano quanto anzidetto in merito al loro profilo:
– difficoltà di accesso alle informazioni (di mercato e di tipo economico-finanziarie)
– difficoltà di accesso ai servizi (pubblici e di consulenza)
– difficoltà di accesso al ruolo (manageriali, di gestione dei fornitori, clienti ecc…)
– difficoltà ad inserirsi nella business community e quindi entrare in rete con il contesto istituzionale e con le altre imprese
– carenza di una rete amicale e familiare altrettanto supportiva come per gli uomini.
Difficoltà che a loro volta segnano le imprese da loro gestite in termini negativi riducendone la capacità di sviluppo e aumentando significativamente la probabilità di fallimento in quella fase iniziale nella quale tali fattori, purtroppo si sommano e rinforzano l’un l’altro. Sinteticamente essi possono così riassumersi:
– le imprese femminili hanno minori dimensioni rispetto a quelle maschili
– nascono con minori investimenti iniziali
– lavorano tipicamente nel terziario (con basse barriere all’entrata)
– sono legate al territorio di origine e difficilmente in grado di allargare il mercato con l’export (aziende di servizi)
– hanno una minore redditività e quindi minore capacità di autofinanziamento.
Il concetto di uguaglianza va oltre l’uguale trattamento delle persone. Trattare in egual modo persone che si trovano in situazioni diseguali significa perpetuare piuttosto che sradicare l’ingiustizia. La vera uguaglianza può emergere solo da un impegno di indirizzo e correzione degli squilibri dovuti alla diversità delle situazioni.
Tra gli altri temi delicati sono infatti da considerare”il permanere di una cultura di discriminazione”, il lavoro cosiddetto “di cura” – figli, anziani, la casa, la spesa eccetera – che “non solo non è riconosciuto ma neppure è sostenuto da politiche efficaci”.
Ancora oggi in tivù trionfa il seguente modello di donna: moda o spettacolo (31,5%), vittima di violenza (14,2%), criminalità o devianze (8,2). A parte la politica (4,8%) e l’arte (0,9%) le altre voci riguardano disagi e sciagure, la cronaca nera prima di tutto. La donna del varietà, la bad girl o la donna del dolore. E tutte le altre? Potrebbe consolare il fatto che in tivù vanno molte esperte donne. Peccato che siano cuoche (20% ), esperte di nutrizione e/o artigianato locale(13,8%), di letteratura (10,3%), giornalismo (6,9%) e politica (4%).
Il lento recupero delle posizione femminile rispetto agli uomini negli ultimi anni era dovuto in buona parte a miglioramenti di tipo sociale come il livello di scolarizzazione piuttosto che a iniziative di legge o interventi sul territorio come quelli a carattere nazionale (L. 215/92 e 125/91), che testimoniano l’interesse da parte delle istituzioni ad accelerare la partecipazione delle donne al mondo del lavoro.
Ed infine come ciliegina sulla torta con l’arrivo dello smart working, le conquiste ottenute, raggiungendo quei pochi posti che erano riuscite a strappare agli uomini, sono diminuite drasticamente : il lavoro è diminuito per tutti nella competizione susseguente quei pochi posti disponibili vengono contesi tramite lotte da cui le donne sono escluse e d’altra parte, adesso stando in casa, la cura della famiglia si affianca e prevalica su qualunque velleità lavorativa.
E vogliamo continuare a festeggiare l’8 Marzo????