Si parla di economia con i numeri, con le statistiche, ma anche col cuore.
Due donne, personalità diverse, percorsi diversi, ma le loro parole e i loro pensieri sono accomunati dallo studio e dalla voglia di dare voce alle grandi potenzialità delle donne.
Giandomenica Becchio, professoressa di Economia presso l’università di Torino, autrice di numerosi testi sullo sviluppo dell’encomia occidentale, sul sistema capitalistico e sull’economia di genere, ci invita nel recente intervento al webinar “Libere di esserci: il ruolo delle donne in Europa” a ragionare e riflettere sulla nascita dell’economia di genere; l’economista di genere è colui o colei che raccoglie l’eredità delle battaglie, iniziate alla fine dell’ottocento, di donne o gruppi di donne, che diedero vita ad iniziative innanzitutto culturali volte a modificare lo stereotipo delle donne e a tentare un’emancipazione sociale. Erano piccole e medie imprenditrici, alcune colte e laureate (la prima Nazione che consentì l’accesso delle donne all’istruzione e all’università fu la Svizzera), altre provenienti dalla lower class, coalizzate per creare delle piccole e medie imprese per aiutare la loro famiglia o il loro villaggio. La storia dell’economia ci insegna quindi che le radici sociali di certi fenomeni, come le disuguaglianze salariali, gli stereotipi, il sessismo non sono solo da rintracciare nelle ideologie di sottoculture, ma appartengono anche a società culturalmente evolute e sviluppate come la nostra.
La storia della nostra imprenditoria, quella italiana, è stata da sempre indissolubilmente legata alla terra, all’agricoltura. L’Italia è una paese a vocazione agricola e la storia dell’emancipazione femminile parte anche da qui.
A raccontarcelo interviene Paola Sacco, vicepresidente di Confagricoltura Donna, lavoratrice, madre, moglie e titolare di un’azienda cerealicola nella provincia di Alessandria. Quando qualcuno le chiede come sia stato possibile coniugare la guida dell’azienda di famiglia e la genitorialità, Sacco risponde che lei ha avuto la possibilità di allentare il lavoro e reinserirsi a pieno titolo quando i figli erano divenuti grandi, ma per molte altre donne lavoratrici la gravidanza, spesso, rappresenta un problema, qualcosa di spinoso da dichiarare al datore di lavoro. L’agricoltura, l’imprenditoria, la guida di un’azienda richiedono impegni totalizzanti e molte lavoratrici desistono perché su di loro rischia di pesare l’intero equilibrio familiare e una donna non riesce a convivere minimamente con l’idea che la famiglia possa naufragare senza di lei. È necessario rivedere le politiche, gli ammortizzatori sociali, un sistema fiscale che non vada a penalizzare le piccole e medie imprese, che sono la maggior parte nel nostro Paese, e giocare la partita del Recovery Fund puntando sull’innovazione e la modernizzazione dei settori trainanti del paese.
Di Luigia Aristodemo e Elena Pompei