Il Covid e le Donne: più discipline STEM per colmare il Gender Gap

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Quando si parla di chi è stato colpito dalla pandemia di Covid-19 in tutto il mondo, troppo spesso ci si dimentica di menzionare l’uguaglianza di genere. Infatti, sia nei paesi più sviluppati che in quelli in via di sviluppo, la crisi generata dalla pandemia ha seguito più o meno la stessa dinamica, ed ha impattato sulle donne in misura maggiore rispetto agli uomini. Le ragioni di questo fenomeno sono varie.

Prima di tutto, guardiamo ai settori dell’economia colpiti. Nelle crisi precedenti, l’ultima nel 2008-2010, ad essere danneggiati per primi sono stati i settori a prevalenza di forza-lavoro maschile, come l’industria manifatturiera o edile. Da un anno a questa parte, secondo i dati Eurostat, a soffrire di più sono invece quelli nei quali le donne sono sovra-rappresentate, come il turistico-alberghiero e quello dei servizi alla persona (hair care ed estetica).

Inoltre, con la chiusura delle scuole e degli asili, è diventato inevitabile prendersi cura dei figli a casa, compito che ancora oggi viene tradizionalmente demandato più alle donne che agli uomini. Persino lo smart working, per anni considerato la ricetta efficace per chiudere il divario di genere, si sta rivelando tale solo in teoria. Non solo è sempre più difficile per entrambi i genitori bilanciare il trinomio famiglia-casa-lavoro, ma secondo quanto rivela l’Economist, le mamme avrebbero il 50% in più di probabilità di venire interrotte dai figli mentre lavorano rispetto ai papà, con inevitabili ricadute sulla produttività del lavoro. Senza contare che lo smart working è possibile solo per certe categorie, ad esempio numerose professioni high-skilled o i dipendenti statali: per molte lavoratrici autonome, o chi svolge lavori manuali, questa non è un’opzione praticabile.

Di conseguenza, se una parte della popolazione femminile, in Europa e in Italia, ha perso l’impiego causa dell’impatto economico diretto della crisi, un’altra parte si è trovata costretta ad uscire dal mercato del lavoro per accudire figli ed anziani: in questo modo il divario di genere ha continuato ad ampliarsi.

In più, i mesi di convivenza forzata durante il lockdown hanno acuito i casi di violenza sulle donne: secondo i dati del Viminale i femminicidi sono triplicati tra marzo e giugno 2020, e la stragrande maggioranza delle donne uccise conviveva con il suo assassino.

L’ampliarsi del divario di genere dovuto alla pandemia rischia non solo di ritardare la ripresa economica per via dell’uscita delle donne dal mercato del lavoro, ma può causare anche una vera e propria crisi sociale e culturale. Prima di tutto, perché mette a rischio molti dei grandi risultati ottenuti dalle donne negli ultimi anni sul versante lavorativo, in termini di accesso a posizioni dirigenziali prestigiose, e poi perché può innescare una regressione culturale, verso una visione della società tradizionalista e paternalista.

Per scongiurare questa possibile catastrofe economico-sociale, siamo tutti d’accordo sul fatto che occorre agire subito, con interventi sostanziali e mirati. Fondamentale è destinare una quantità consistente di risorse per rendere più accessibili strutture chiave come gli asili nido, o per ampliare la durata dei congedi parentali (specie quello di paternità, che in Italia è stato esteso a soli 10 giorni dopo la nascita del figlio dalla legge di Bilancio 2021).

Se però vogliamo veramente non soltanto sopravvivere alla crisi, ma sfruttare l’occasione della trasformazione digitale dell’economia mondiale per recuperare competitività, dobbiamo anche destinare ingenti investimenti allo studio delle materie scientifiche, le famose STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), che oggi rappresentano il tallone d’Achille del sistema educativo del paese, con meno del 25% del totale dei laureati nel 2019 (ISTAT). Le donne STEM, che attualmente esprimono un misero 16,2% del totale delle laureate in Italia, dovranno essere alla testa di questa rivoluzione.

E’ un fatto che la pandemia ha accelerato un fenomeno già in atto da diversi anni, la digitalizzazione dell’economia globale. Con il Covid, anche i settori più refrattari all’innovazione tecnologica, quali la pubblica amministrazione e la scuola tradizionale, si stanno progressivamente digitalizzando. Dato che non è né possibile né auspicabile tornare allo status quo una volta finita l’emergenza, occorre che la società, prime fra tutte le donne, siano in prima linea nel trarre vantaggio dalle opportunità lavorative che la transizione digitale offre. Ma per fare questo, occorre che la società abbia gli strumenti prima di tutto conoscitivi per affrontare questa sfida, e che le donne non restino tagliate fuori da questo processo.

La scuola sarà la protagonista indiscussa di questa evoluzione, ma bisognerà innanzitutto riformare l’offerta formativa, in modo da rendere centrali le materie scientifico-matematiche fin dalle elementari. E’ risaputo che la scuola italiana è ancora focalizzata sullo studio delle discipline umanistiche, nonostante si siano fatti indubbi sforzi negli ultimi anni per contrastare almeno in parte questa tendenza. Occorrerà continuare in questa direzione, destinando un numero maggiore di ore allo studio delle STEM, e utilizzando una parte delle risorse del Recovery Fund per potenziare i servizi di tutoring e fornire corsi di aggiornamento agli insegnati.

Attualmente in Italia esistono certi stereotipi culturali, che vedono la donna più incline a studiare materie letterarie. E’ fondamentale sradicare questi luoghi comuni, per far sì che sempre più bambine e ragazze aspirino a diventare scienziati o ingegneri, ispirandosi a quelle personalità che hanno dato contributi fondamentali alla scienza e che ancora oggi sono troppo poco conosciute dal grande pubblico: Margherita Hack, Rita Levi Montalcini, Fabiola Gianotti. In realtà, si possono citare numerosi altri esempi di straordinarie scienziate italiane contemporanee, come Samantha Cristoforetti e Simonetta di Pippo, che occupano posti di grande rilievo all’ESA e all’ONU, e che con il loro esempio mostrano ogni giorno che un cambio di paradigma è possibile.

Il Covid è stato una sciagura da innumerevoli punti di vista: sociale, economico, culturale. Il nostro compito è sfruttare i cambiamenti determinati dalla crisi a vantaggio di coloro che verranno e abbracciare il processo di digitalizzazione, per far sì che la crescita sia veramente inclusiva e che il gender gap venga chiuso non tra 136 anni, come prevede il World Economic Forum, ma nel giro, magari, di una generazione.

di Biancamaria Tarditi

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