Gli effetti collaterali del Covid-19

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Un titolo, una voce: Rai, Mediaset, La 7 e tutte, proprio tutte, le testate dei media. Morti, contagiati, tamponati, vaccinati. Vaccino sì, vaccino no, vaccino forse. La gestione di un piccolissimo e insidioso pallino spinoso, impazzito e fuggito dalla corte coronata dei raffreddori e delle sindromi influenzali ha provocato la distruzione di molti dei principi enunciati nei 139 articoli e 18 disposizioni transitorie di quel fondante libricino che è la Costituzione. Pochi articoli, ma chiari. Semplicemente enunciati perché devono essere compresi da tutti, per essere osservati da tutti. La gestione del pallino infettivo ne ha di colpo scompaginato il principio fondante: il lavoro. Lavoro, dolce chimera sei tu. Parafrasiamo pure il vecchio ritornello.

Pallido per molti, già dopo pochi mesi, il ricordo delle giornate impegnate in attività materiali o intellettuali esplicate in cambio di una retribuzione. L’Istat ci dice che in Italia il numero di occupati da febbraio 2020 a febbraio 2021 è sceso di 945 mila unità. Uomini, donne, lavoratori dipendenti, autonomi e tutte le classi d’età. Parallelamente sono cresciuti i disoccupati (+21 mila) e soprattutto gli inattivi, di oltre 700 mila unità.

Rispetto a febbraio 2020, il tasso di occupazione è più basso di 2,2 punti percentuali e quello di disoccupazione è più alto di 0,5 punti. Il dato davvero tremendo è che il numero di quelli che neanche cercano un lavoro è equivalente ad un’intera città. È come se tutta Palermo (673.735 abitanti) non lavorasse più e non cercasse lavoro. Lecito chiedersi che fine ha fatto quella Repubblica che trovava nel lavoro il suo principio fondante. Attenzione, dato notevole: Il 98% di chi ha perso il lavoro è donna, il Covid è anche una questione di genere.

Dopo la Seconda guerra mondiale le schiere di disoccupati si contavano a milioni, ma una classe politica di alto profilo seppe rifondare attorno al lavoro e alla famiglia l’intero ordinamento del Paese. La famiglia (sì, quella degli articoli 29, 30, 31 della Costituzione), e il rapporto solidale tra i suoi componenti si rivelò anche fondamentale per la ripresa dell’economia.

Sembra invece che oggi l’idea dominante sia diventata Divide et Impera. Gli antichi, come sempre, avevano ragione. Da vendere. Prima del pallino spinoso si era provato usando il lavoro: se i giovani non lavorano dare colpa ai più vecchi che non vanno in pensione. I più vecchi, che per conto loro sarebbero andati felicemente in pensione, non potevano, per legge, ritirarsi dall’attività lavorativa.  Nasceva il giovaneperforza: chi era costretto a lavorare fino a tarda età dovendo essere attivofortescattante e pro-dut-tivo. La panchina al parco può attendere. Non una scelta, un obbligo di legge.

L’anagraficamente giovane, rimaneva tale anche se aveva superato da tre o quattro lustri pubertà e adolescenza. Si sentiva depredato del proprio futuro da chi giovane doveva rimanere per volontà dello Stato. L’insofferenza generazionale provocava sensi di colpa nei più grandi. Fragolina sulla torta ecco la gestione della pandemia: una bomba che ha acuito diffidenza, separazione, insofferenza. Dapprima fu: “la colpa del virus è dei grandi che si ammalano e infettano i giovani”, poi diventò: “la colpa è dei giovani che infettano i vecchi che son fragili e muoiono”. La frittata intergenerazionale era fatta. Mentre il derby giovani-anziani passava, grazie alla gestione del pallino spinoso, ad eterni tempi supplementari, per completare la grande divisione si fomentò la gran tenzone tra i dipendenti pubblici, i garantiti, cui si pensò anche di aumentare lo stipendio, e i non garantiti (tutto il resto del mondo). I garantiti potevano stare a casa e magari non lavorare con garanzia di stipendio, i non garantiti, rimasti senza lavoro, tenuti all’amo con mancette di stato sporadiche quanto sparute. Risultato: livore aggiunto a livore.

Per celebrare i 700 anni dalla morte di Dante si è forse voluto ricostruire l’Inferno in chiave moderna. Oggi, mentre ancora l’irriducibile pallino spinoso spadroneggia nelle nostre città, sono schierati sui fronti opposti: giovani contro anziani, dipendenti pubblici contro il resto del mondo. Mentre fischia il vento e impazza la bufera, i più piccoli, che in realtà sono gli unici a non avere alcuno strumento di difesa, cominciano a mostrare i segni che le plurime tenzoni hanno inferto sulle loro anime in crescita. Qualche dato: nei bambini fino ai 6 anni, si è riscontrata la comparsa di comportamenti regressivi, come voler tornare a dormire nel letto di mamma e papà. Nei bambini dai 6 anni in poi e negli adolescenti sono più frequenti i disturbi d’ansia, sensazioni di mancanza di aria, l’alterazione del ritmo del sonno. Alcuni bambini sperimentano anche sensazioni di noia e apatia nonché alterazione dell’umore. Negli adolescenti si fanno sempre più frequenti i risvegli notturni. Appaiono stanchi e affaticati. Non riescono a concentrarsi durante la DaD. Hanno difficoltà ad apprendere. Anoressia, bulimia, autolesionismo. Un’intera generazione se non due annientata.

C’è da chiedersi se si è voluto creare un vuoto. I vuoti, si sa, tendono a riempirsi. Una generazione o due completamente disabilitate al lavoro, allo studio e ai rapporti sociali, rimarrà rintanata davanti ad uno schermo, infierendo su sé stessa fisicamente e culturalmente. Dieci anni e il vuoto sarà un baratro. E sarà riempito, non potrà essere altrimenti. L’unico finale positivo a questa triste storia di annientamento di un popolo è creare un fronte culturale solido e impenetrabile. Quello che la nostra Costituzione era riuscita a generare e che produsse il progresso.

Di Fabiana Gardini

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