E il Sinodo è già un trionfo per la lobby LGBTQ

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LGBTQ

La battaglia attorno al link di un gruppo LGBTQ americano sul sito del Sinodo – prima messo, poi tolto, infine ripristinato – svela quanto la lobby gay sia ormai influente ai vertici della Chiesa. È il riconoscimento di un gruppo sconfessato dai vescovi americani, condannato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede già 22 anni fa, e ora promosso da papa Francesco.

Vale più un link che cento documenti teologici e magisteriali. È la lezione che stiamo imparando in questi giorni dal Sinodo sulla sinodalità, il cui cammino di preparazione è iniziato lo scorso 9 ottobre. Il link a cui facciamo riferimento è quello di un webinar (seminario tenuto su internet) di New Ways Ministry, organizzazione americana di cattolici LGBTQ, che è sulla pagina delle risorse del sito del Sinodo. Anzi: che c’era, poi non c’era più e adesso c’è ancora, un vero e proprio giochino di marketing.

Il fatto è che c’era ma nessuno l’aveva notato (i frequentatori del sito ufficiale del Sinodo non devono essere particolarmente numerosi) finché il 6 dicembre un tweet del sempre presente padre James Martin, massimo sponsor dell’agenda LGBTQ nella Chiesa, non vi ha puntato le luci: il webinar sul sito del Sinodo è «un piccolo, ma storico passo avanti nei rapporti della Chiesa con le persone LGBTQ», ha scritto. Non si parla ovviamente del contenuto del webinar – una lunghissima, estenuante, dissertazione del “teologo” Robert Choiniere sul tema del Sinodo e sulla Chiesa sinodale e sull’apporto che possono dare i gruppi LGBTQ -, il significato dell’operazione sta tutto nella presenza sul sito del Sinodo di una organizzazione LGBTQ.

E non una qualsiasi: a New Ways Ministry, fondata nel 1977 da suor Jeannine Gramick e padre Robert Nugent, è stato più volte negato il riconoscimento di organizzazione cattolica, l’ultima volta nel 2010 dall’allora presidente della Conferenza episcopale statunitense Francis George. E in precedenza era stato il cardinale Joseph Ratzinger, in qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, a proibire «permanentemente» ai due religiosi «qualsiasi attività pastorale che coinvolga persone omosessuali». Proprio la Notifica del 31 maggio 1999, firmata da Ratzinger con la piena approvazione di papa Giovanni Paolo II, è interessante per capire quale sia il nocciolo del problema e quale sia la natura e lo scopo di New Ways Ministry.

Nel documento si dà infatti conto del lungo, infruttuoso, dialogo promosso dalla Santa Sede con suor Gramick e padre Nugent per riportarli su posizioni ortodosse. Nulla da fare, i due religiosi rifiutavano l’insegnamento della Chiesa a proposito di omosessualità, ovvero il riconoscimento che gli atti omosessuali sono intrinsecamente un male e che l’inclinazione omosessuale rappresenta un oggettivo disordine. Era chiaro fin dall’origine che il vero scopo di New Ways Ministry era – ed è – cambiare la dottrina della Chiesa in materia di omosessualità. Così come parallelamente sul fronte aborto e contraccezione faceva l’organizzazione Catholics for a Free Choice (oggi Catholics for Choice), fondata nel 1973 e anche questa con sede a Washington. È chiaramente anche a New Ways Ministry che si riferiva l’allora cardinale Ratzinger quando nel 1986 denunciava una potente lobby gay all’interno della Chiesa, ma con «stretti legami con coloro che agiscono al di fuori di essa», che vuole «sovvertire» l’insegnamento della Chiesa stessa.

Si può capire allora perché qualcuno al tweet di padre Martin si sia allarmato. Così il 7 dicembre quel link è sparito dal sito del Sinodo. E a quel punto Francis DeBernardo, direttore esecutivo di New Ways Ministry, cala l’asso: due lettere inviate allo stesso DeBernardo da papa Francesco a maggio e giugno scorso: una di apprezzamento per la sofferta storia di New Ways Ministry e l’altra ancora di grande partecipazione al lavoro pastorale del gruppo LGBTQ e di esaltazione della figura di suor Jeannine Gramick («una donna di valore che prende le sue decisioni in preghiera»).

Si può solo immaginare lo scompiglio portato da questa rivelazione al quartier generale della Segreteria del Sinodo. E infatti dopo qualche giorno, domenica 12 dicembre, il responsabile della Comunicazione della Segreteria del Sinodo, Thierry Bonaventura, si è immolato «sull’altare dell’ipocrisia» (direbbe papa Francesco) e ha scritto una lettera di scuse alla comunità LGBTQ, assumendosi tutta la responsabilità della rimozione del link dovuta a non meglio precisati «motivi di procedure interne».

Bonaventura, con uno stile che ricorda le sessioni di autocritica al tempo della Rivoluzione Culturale cinese, si rende conto di avere in questo modo «causato sofferenza all’intera comunità LGBTQ». «Sento che mi devo scusare – prosegue la lettera – con tutte le persone LGBTQ e tutti i membri di New Ways Ministry per il dolore causato, testimoniando la ferma volontà – non solo mia ma dell’intero Segretariato generale del Sinodo – di non escludere quanti desiderano condurre questo processo sinodale con cuore sincero e uno spirito di dialogo e di reale discernimento». Segue invito ai gruppi LGBTQ di mandare i propri contributi al Sinodo attraverso una via preferenziale, un indirizzo mail diretto. E ovviamente il link al webinar è stato immediatamente ricollocato tra le risorse del sito del Sinodo.

Il giorno successivo, nella sua grande magnanimità, Francis DeBernardo annuncia ufficialmente il perdono al povero Thierry Bonaventura: «Queste scuse senza precedenti da un dipartimento vaticano – scrive DeBernardo – correggono l’errore fatto e amplificano, anche più forte, il benvenuto che papa Francesco ha esteso alle persone LGBTQ».

Ogni commento appare superfluo, i fatti parlano da soli. Questo balletto intorno a un semplice link ha prodotto l’ufficiale riconoscimento da parte della Santa Sede di un gruppo il cui scopo non è la cura pastorale delle persone omosessuali (che la Chiesa non ha mai negato) ma di promuovere l’agenda LGBTQ all’interno della Chiesa sovvertendone l’insegnamento. Un vero capolavoro di marketing, è il trionfo della lobby LGBTQ nella Chiesa. E si comincia a comprendere meglio a che cosa dovrà servire un Sinodo sulla sinodalità.

Di Riccardo Cascioli

 

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