MASSIMO TEGLIO: il genovese che salvò la vita a migliaia di ebrei

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Massimo-Teglio

MASSIMO TEGLIO – Un ex pilota che diventa la ‘primula rossa’ di un’organizzazione (la Delasem) impegnata per strappare dalle grinfie della Gestapo il maggior numero di ebrei. La storia di un genovese che molto ha a che vedere con quella dei più famosi Oskar Schindler o Giorgio Perlasca, l’eroe di Budapest. Un ruolo importante e delicato per l’attore Sergio Castellitto, che affronta, con ‘L’Aviatore’, il nuovo tv movie in onda il 25 gennaio su Canale 5. La pellicola, diretta da Carlo Carlei e prodotta da Rizzoli per Mediaset, trae spunto dal un racconto del giornalista e scrittore statunitense Alexander Stille “Il rabbino, il prete e l’aviatore”. Essa è ambientata in parte a Roma e in parte a Genova (trasposta per ragioni scenografiche a Costanza, Romania). Trattasi di una scommessa importante e destinata a fare vera luce – speriamo con successo – sulla figura di un uomo straordinario la cui storia è ancora assai poco nota al grande pubblico. Ma chi fu, in realtà, Massimo Teglio. Per saperlo occorre fare un tuffo nel passato e ripiombare nel clima cupo di una città provata dai bombardamenti e dagli stenti, una città ove regna l’incertezza e la paura.

Genova, pomeriggio del 2 novembre 1943. Alle ore 17 gli uffici della Comunità Ebraica di Via Bertora sono regolarmente aperti quando all’improvviso due Obersherfuhrers del Judische Bureau, accompagnati da un interprete italiano, certo Luzzatto, e scortati da 22 soldati delle SS, sfondano la porta dell’edificio e arrestano il custode Bino Polacco intento a giocare con i suoi due figli, Carlo e Roberto. I tedeschi puntano i mitra contro Polacco e lo obbligano a consegnare tutti i registri anagrafici della Comunità israelitica genovese, poi lo caricano con i ragazzi e la moglie su un camion e li portano nel carcere di Marassi. In seguito, si saprà che l’intera famiglia Polacco è stata rinchiusa e sterminata in un campo di concentramento tedesco. Con questa prima, rapida operazione, ordinata dal maggiore Sigfried Engel, capo del Servizio di Sicurezza S.D. di Genova, ha inizio il calvario della minoranza ebraica residente nel capoluogo ligure.

Il giorno seguente, grazie ad una delazione, le SS riusciranno ad arrestare in Galleria Mazzini il rabbino Riccardo Pacifici. Il capo spirituale della Comunità, che nelle settimane precedenti aveva trovato sicuro rifugio, per diretto interessamento del cardinale Boetto, presso la sede dell’Arcivescovado, aveva deciso di uscire allo scoperto per aiutare la moglie e i figli a fuggire a Firenze. Sistemata la famiglia in un convento del capoluogo toscano, Pacifici era voluto tornare a Genova per prestare conforto ai suoi correligionari. Ai prelati fiorentini che cercavano di dissuaderlo egli rispose: “Sono disposto a morire per l’ebraismo, ma non per i nazisti”. Dopo averlo ammanettato, le SS trascinarono il rabbino all’interno della Sinagoga di via Bertora, dove venne interrogato e pestato. Alcuni giorni dopo, lo caricarono su una tradotta con destinazione Auschwitz, in Polonia, dove il 12 dicembre 1943 venne ucciso e cremato, assieme a tanti altri correligionari, in uno dei forni del campo.

Proprio in quel drammatico autunno del ‘43 (nel novembre 1943 sono arrestati e deportati 300 ebrei genovesi) a Genova Massimo Teglio stringe le fila dell’organizzazione clandestina “Delasem”, (Delegazione per l’Assistenza agli ebrei Emigranti, con sede centrale a Genova) creata dall’Unione delle Comunità israelitiche italiane nel dicembre 1939 per fornire assistenza ai profughi ebrei diretti in Palestina o oltre Oceano (tra il 1938 e il 1945 l’organizzazione riuscirà a mettere in salvo oltre 30.000 israeliti) . Teglio, uomo coraggioso e di saldi principi morali, era stato uno dei primi ad entrare a fare parte della Delasem. Fiancheggiavano l’organizzazione cittadini comuni, ma anche molti funzionari, ufficiali dell’esercito e dei carabinieri e parecchi prelati dell’Arcivescovado che si adoperarono per procurare rifugio agli ebrei perseguitati dalle forze nazi-fasciste o aiutandoli a fuggire all’estero.

Con lo scopo di realizzare al più presto la cosiddetta “soluzione finale”, nell’inverno tra il 1943 e il 1944, Heinrich Himmler, comandante in capo delle SS, ordinò il rafforzamento delle sue unità operanti in Italia e sul territorio ligure per “liquidare” tutti gli ebrei ancora a piede libero. E fu così che presso l’edificio della Casa dello Studente di corso Gastaldi iniziò ad operare il nucleo S.D. agli ordini del maggiore Engel. E da questa base dipendevano due speciali bureau, il numero “4” e il numero “5”, affidati al comando del tenente Otto Kass. Quest’ultimo creò a sua volta un apposito Ufficio Ebrei che aveva il compito di eseguire le indagini particolari e gli arresti degli israeliti nascosti in città e nella provincia. L’Ufficio disponeva di un folto numero di impiegati e di militi delle SS, coadiuvati da informatori civili e da interpreti. Tutti gli ebrei catturati venivano solitamente tradotti negli scantinati della Casa dello Studente dove venivano sottoposti ad interrogatori estenuanti e non di rado a sevizie. Successivamente, questi disgraziati venivano trasferiti alla IV Sezione delle carceri di Marassi, diretta dal maresciallo E. Poickert. Questi si occupava della segregazione e della “spedizione” in vagoni piombati dei suoi prigionieri, avviati nei campi di concentramento tedeschi e polacchi. Affiancavano la struttura organizzativa nazista delle SS il personale dell’Ufficio Gestapo di via Assarotti, diretto dal maggiore Werner, e le forze di Polizia e della Milizia repubblichine.

All’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, a fronteggiare questa efficiente macchina di sterminio, non c’erano che poche decine di uomini, di fede ebraica e cristiana, dotati di grande coraggio, ma di pochi mezzi. E fu proprio per questo motivo che Massimo Teglio, spalleggiato dalla Curia e da non pochi funzionari del Comune, aveva posto le basi per la creazione di una vera organizzazione di salvataggio, iniziando per prima cosa a dedicarsi alla fabbricazione di documenti falsi e lasciapassare per gli ebrei alla macchia e per quelli che si apprestavano a fuggire da Genova. Teglio, uomo tranquillo, ma anche astuto, carismatico e dotato di notevole iniziativa, mise in piedi un laboratorio per la contraffazione di documenti di qualsiasi tipo. Un lavoro che poté portare a compimento grazie alla collaborazione della Ditta Prada e del tipografo Valtolina che fornirono la carta e i timbri a secco di vari comuni italiani, mentre la Curia procurava quelli di gomma delle varie parrocchie italiane (in questa attività prezioso risultò l’apporto fornito da don Repetto, segretario del cardinale Boetto). Teglio, infatti, non era solo. In Questura alcuni funzionari, tra cui il dottor Broccardi-Salmezzi e i commissari Sbezzi, Salmeri, Mollo e Figurati, si adoperarono per favorire l’attività di Teglio e della Desalem, rischiando di essere scoperti e fucilati dai nazi-fascisti. Questi funzionari chiusero spesso un occhio su “movimenti di gente sospetta” segnalati dagli informatori e dai delatori (anch’essi, purtroppo, numerosi) che in cambio di denaro erano disposti a spedire alle camere a gas uomini innocenti, donne e bambini. In Prefettura, operava il dottor Claudio Lastrina, che fino dall’autunno del ‘43 si era messo a disposizione di Teglio per aiutarlo a reperire documenti e timbri falsi. Purtroppo, un giorno Lastrina si tradì e venne arrestato dalle SS che lo deportarono in un non precisato campo in Germania dove, nel 1944, venne fucilato. Presso il Comune di Genova, il vice segretario generale, avvocato Gian Antonio Nanni, e alcuni suoi stretti collaboratori, riuscirono per parecchie settimane a tenere nascosto ai tedeschi l’elenco completo degli ebrei residenti in città, stilato nel 1938 in occasione del varo delle leggi razziali. Anche l’Arma dei Carabinieri si adoperò spesso per coprire in qualche modo Teglio, i membri della Delasem e gli ebrei braccati dalle SS o dalla Gestapo. Molti di questi perseguitati vennero ospitati nel lebbrosario e nel reparto Malattie Infettive dell’Ospedale di Genova. E tutto ciò fu possibile grazie alla connivenza dei professori Cartagenova e Catterina e dei dottori Morra, Vittone, Solimano, D’Antilio e Ciffatte. Persino alcuni plenipotenziari e ufficiali tedeschi di salda fede cristiana, come il console generale Hans Bernard e il console ordinario Alfredo Schmidt (“un austriaco di ottimi sentimenti”, così lo descrisse il cardinale Boetto) collaborarono con la Curia, contribuendo alla salvezza di alcuni ebrei. A dimostrazione che non tutti i tedeschi condividevano i folli progetti di Hitler e di Himmler.

Tra il 1943 e il 1944, la “Delasem”, ormai trasformatasi in una vera e propria organizzazione dotata di mezzi e di sufficiente sostegno finanziario (il denaro veniva procurato attraverso collette e donazioni di cittadini sia ebrei che cristiani e grazie a periodici versamenti da parte dell’Arcivescovado), cominciò a progettare l’espatrio clandestino di interi nuclei di civili ebrei. Per attuare questo piano, che comportava ovviamente difficoltà e rischi di ogni genere, venne chiamato a Genova Raffaele Cantoni, un noto esponente della resistenza ebraica che, dopo essere stato arrestato a Firenze dai nazisti, era riuscito a fuggire buttandosi da un treno in corsa. Giunto nel capoluogo ligure, Cantoni nominò Teglio responsabile della Desalem per tutto il Nord Italia: un incarico prestigioso che dimostrava chiaramente la capacità e il coraggio da lui dimostrato nei mesi precedenti. A Teglio spettò anche il compito di studiare e pianificare i percorsi di fuga più idonei per attraversare l’Appennino, la Pianura Padana, e raggiungere il confine svizzero. A questo riguardo occorre ricordare che nel dicembre del 1943 un primo tentativo di fuga, organizzato dal sacerdote don Rotondi, era finito in tragedia. Giunto in prossimità della frontiera alpina assieme ad un gruppetto di ebrei, il sacerdote era stato arrestato dai tedeschi e rinchiuso nelle carceri milanesi di San Vittore. Teglio decise quindi di organizzare un nuovo e più sicuro sistema di espatrio, cercando per prima cosa di contattare funzionari svizzeri di sua fiducia, come il console Biaggi de Blasys che, a sua volta, era in ottimi rapporti con la direzione della Croce Rossa Internazionale e con il Comando delle Guardie di Frontiera elvetiche. Gli espatri vennero organizzati soltanto per piccoli gruppi di 5 o 6 persone, per consentire una maggiore rapidità di spostamento e di eventuale occultamento lungo il percorso. I nominativi dei fuggitivi venivano preventivamente segnalati da Teglio al console svizzero che, a sua volta, si preoccupava di inoltrare la lista a Berna, affinché le autorità governative approntassero i documenti attestanti il diritto di espatrio e di asilo per i “profughi”. Passati gli Appennini attraverso mulattiere e sentieri, l’itinerario della salvezza si snodava lungo la pianura padana, passava poi da Madonna di Tirano, fino a raggiungere, dopo avere valicato le Alpi lungo i percorsi usati dagli “spalloni”, a Saint Moritz. Si trattava di un viaggio duro, faticoso e pericoloso, ma nessuno dei partecipanti alle spedizioni osò mai eluderlo. La posta in gioco era infatti la vita. In seguito, il punto di espatrio venne spostato (probabilmente per motivi di sicurezza) a Lieto Colle, in provincia di Como. Teglio fece miracoli e in pochi mesi la sua organizzazione riuscì a fare fuggire da Genova decine e decine di ebrei e persino un giovane soldato della RSI, renitente alla leva e condannato a morte in contumacia. La Desalem e Teglio operarono ininterrottamente, anche se fra molteplici difficoltà, fino al 25 aprile del 1945, quando le truppe del generale tedesco Gunther Meinhold di stanza a Genova e nella provincia deposero le armi arrendendosi alle formazioni partigiane.

di Alberto Rosselli (www.storiaverita.org)

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