La frattura tra Draghi e Conte potrebbe creare una spaccatura. L’intesa non sembra possibile e, davanti al miraggio di un’altra esperienza “tecnica”, viene da pensare che da oltre 11 anni non andiamo alle urne per le politiche
Si prospetta l’ennesima ipotesi di rottura nel Governo. La spaccatura del Movimento 5 Stelle e, più in generale, quella tra Conte e Draghi davanti all’emergenza ucraina potrebbe essere tale da prospettare l’ennesima crisi. Si vocifera da tempo di un Draghi-bis senza i pentastellati ma, in realtà, questa situazione dovrebbe far riflettere il Paese tutto, non solo le forze politiche, sull’impossibilità di proseguire con un Governo di “non” maggioranza che non viene fuori dalle elezioni e che riesca a tenersi, in quanto tecnico, solo su appoggi momentanei.
Monti (2011-13), Letta (2013-14), Renzi (2014-16), Gentiloni (2016-18), Conte (2018-19), Conte-bis (2019-21), Draghi (2021-oggi). Due anni, forse due anni e mezzo, e poi i governi tecnici che abbiamo avuto, tutti, sono crollati. La cronaca ci dice che dal 2011 ad oggi (sono passati oltre 11 anni) non siamo più andati alle urne per le politiche. Ci sono state Amministrative, Regionali, Referendum, tutto ma non le politiche.
Oggi, alle 16:30, Conte e Draghi si riuniranno ma non parleranno di questo… Al centro del colloquio ci dovrebbero essere le condizioni per la prosecuzione della gestione Draghi. Maggiore impegno finanziario su sociale, povertà e salari, e un impegno concreto nella soluzione diplomatica del conflitto in Ucraina. Condizioni, quelle dettate dai pentastellati, che potrebbero non essere digerite dall’ex Governatore della Bce e che rischierebbero, secondo molti, di compromettere l’attuale esperienza di Governo. “L’esecutivo non si fa senza il Movimento 5 stelle, questa è la mia opinione. Conte ha confermato che non è intenzionato a uscire dal Governo e a dare l’appoggio esterno, quindi mi baso su questo”, le parole di Draghi. Il presidente del Consiglio ha poi dichiarato: “Questo è l’ultimo Governo di legislatura in cui sono premier”.
Dopo ben sette esperienze tecniche e con queste premesse, la scelta sembra ormai obbligata: restituire la parola agli italiani. Anzi, viene da chiedere, perché ancora non sia stato fatto. L’involuzione di questo tipo di governance ormai è conclamata: le realtà costituite da forze politiche con tradizioni diverse e una impronta distante non vanno per le lunghe. Va anche detto che la parentesi tecnica che persevera dal 2011 è stata la più lunga della storia della Repubblica. In precedenza, con le stesse caratteristiche, c’erano state solamente due esperienze, quelle di Ciampi (1993-94) e Dini (1995-96).
Cosa si intende fare adesso? Cosa pensano di fare le forze politiche in questo momento di gravi difficoltà? Perché non dare un governo solido al Paese potrebbe rivelarsi una fatale debolezza, viste le crisi da affrontare. Nei nostri confini, la povertà e il lavoro, unitamente al sempre più ampio divario sociale, fuori dal Paese, l’emergenza ucraina e i traguardi europei per il 2030, chiedono di essere affrontati con forza e responsabilità ma, soprattutto, con una decisa unità di intenti.