In ricordo dei nonni che non ci sono più ma che vivono dentro di noi

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nonni - leyla ziliotto

In ricordo dei nonni che non ci sono più ma che vivono dentro di noi – Se mi chiedessero cosa hanno significato per me i nonni, risponderei con una similitudine: per me sono l’essenza che profuma le tappezzerie della mia anima, cosi’ come l’aroma della moka giornaliera ha impregnato la cucina delle nostre infanzie.
Di Anna, la nonna a cui ho dedicato il mio ultimo libro, difatti scrivo: “Avverto la rugosità della pelle, e i suoi occhi scuri guidarmi come stelle, me par d’accarezzare la sua chioma, de respirà er su’ odore e der su’ caffè l’aroma”.

Ed io lo sento ancora forte quel caffè: è un amore incondizionato e genuino che si propaga tra le mie nostalgie di figlia orfana di un genitore vivente, ma viziata dal privilegio di una consapevolezza: l’essere stata la nipote prediletta.

Nel mondo attuale, diverso da quello in cui sono emigrata sin dai primi anni della mia vita, c’è tanto bisogno di nonni e del devoto rispetto di quei piccoli, ma non meno importanti, riti a cui non avrei mai voluto rinunciare: il pane caldo con il burro e lo zucchero, le canzonette dello zecchino d’oro suonate da un vinile ormai attempato, la cioccolata calda nella spartana, ma non per questo meno rifornita, latteria sotto casa.

Al giorno d’oggi, sempre più coppie abbandonano l’idea un legame duraturo: “Perciò madri “sterili”, padri inutili, rendono i figli orfani di genitori vivi, egoisti e litiganti per ragioni sempre futili, in una tragedia familiare in cui se senton divi”.

Continuo a scrivere tra le pagine del testo “Romanna”: ormai sono vaccinata integralmente da eventuali critiche femministe o da parte di coloro che considerano la famiglia come un fatto superato, fuori moda e persino nocivo per la salute dei figli stessi.

L’egoismo: il male assoluto ed ormai scontato del nostro tempo.

I nonni non conoscono questo sentimento, almeno non quelli che ho conosciuto io.

Eppure la famiglia intesa come nucleo tradizionalmente riconosciuto nel corso dei secoli, ha assunto le sembianze di un biscotto rancido e friabilissimo tanto da sbriciolarsi in un caffè questa volta però di infima qualita’.
Per lo più come: “Brodaglia immonda! Acqua sporca!”.

Questo ciò che imprimo mentre rammento gli alterchi quotidiani causati dal disprezzo di una moka troppo lunga o mal zuccherata tra i miei nonni, una donna ed un uomo protagonisti di un amore complesso, ma autentico più che mai: “E a te nonna rimaneva che guardare, quer liquido giù dallo scarico scivolare, simbolo indiscusso der tu granne avvilimento, affinchè fosse temporanea conclusione der tormento, ma sol chi s’ama per davvero, sulle gote porge un bacio vero”.

Eh sì. Oggi abbiamo tutti la tendenza a voler mascherare le realtà più scomode addolcendole malamente con banali ipocrisie, illusorie di una dimensione esente dalla negatività.

Anche la mia adorata nonna, forse, sbagliava le dosi del caffè, ma era capace di garantire il proprio amore pur non ricevendo equamente quanto donato: lei sì che era conscia dei propri limiti e di sguazzare più o meno agilmente in un mare di difficoltà.

Lei non si vergognava di apparire debole agli occhi di chi la circondava, né celava più di tanto quel suo profondo malessere.

Eppure sopravvivere a quei litigi quotidiani, prevedibili e anche un pò infantili, mi ha insegnato a crescere, ma soprattutto a vivere: è forse la più importante lezione di vita che i miei nonni in maniera del tutto involontaria mi hanno trasmesso.

E a me manca quel caffè, talvolta amaro o nauseante, ma quanto meno non allungato dall’ipocrisia buonista del nostro tempo che ci rende soli in mezzo ad “estranei conosciuti”.

E più avverto il germoglio costante del figlio che è in me, più questo ricordo assume sembianze tangibili: penso a lui, e la voce e l’odore dei miei nonni con dolce prepotenza s’impianta nella mia mente.

Mentre percepisco i suoi teneri calci, l’eco lontano delle loro parole più dolci si trasforma in un suono familiare e talmente ravvisabile da suggerirmi una carezza: è come se il mio bambino pian piano incontrasse le mani di chi ho amato intensamente in un’epoca ormai lontana.

Epoca diversa e bizzarra, invece, quella di oggi, la medesima in cui catene anonime di burger e pizze al caviale consegnate da riders sottopagati che lottano contro il tempo, hanno rimpiazzato in maniera forse definitiva le latterie per le quali nutro grande malinconia!

Le fettine panate e riposte in freezer dalle dita amorevoli delle nostre nonne sono state sostituite dalla vastissima scelta di ricercate tartare ognuna delle quali però ha lo stesso, identico sapore.

Siamo rimasti soli ed affamati di semplicità, anche se ci vergogniamo ad ammetterlo.

Ma io come mia nonna non me ne vergogno affatto: lei mi ha insegnato troppo bene a non avere ritegno di esprimere le proprie verità.

Cari nonni, e nonni di tutto il mondo che avete amato ed adorate i vostri nipoti sostituendovi non di rado alla figura di genitori capaci di tutelare soltanto la propria “carriera” emotiva, nella giornata dedicata alla celebrazione di coloro che non sono più presenti in questa vita terrena ma continuano a sopravvivere nei nostri ricordi, vi dedico queste ultime parole:

“Grazie per avermi reso la tazzina inconsapevole nella quale avete riversato il vostro affetto carico di aromi eccezionali: quel caffè non hai mai smesso di raffreddarsi e mi infonde la naturale carica per sopravvivere con dignità al progressivo deterioramento delle nostre anime.

Tutto ciò di cui avevo bisogno non era altro che quello che non sapevo di desiderare, ovvero la perfetta e naturale corrispondenza dei nostri sentimenti”.

Tanti Auguri ai nonni che dimorano nella nostra mente.

Di Leyla Ziliotto

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